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Dalla vicenda di Dina e Clarenza spira ancora "Vento di Libertà"

Il DNA dei messinesi, la tipica capacità di resistere a catastrofi, invasioni e saccheggi, traendo il meglio di ciò che comunque viene dallo straniero invasore, sembra emergere potente in un graphic novel che, con un linguaggio figurativo modernissimo, affonda le radici nel passato. “Vento di libertà” (Tunué) del disegnatore messinese – di caratura internazionale – Lelio Bonaccorso, attraverso la vicenda emblematica di Dina e Clarenza, le eroine messinesi che nel 1282 difesero strenuamente la città dall'assedio dalle truppe di Carlo I d'Angiò, durante il Vespro siciliano, sviscera tematiche di forte valenza sociale e culturale, fermando l’attenzione sulla condizione femminile, sulla paura del diverso, sul pregiudizio e altri mali dell’umanità che ne fermano il progresso, svuotando di significato il concetto di speranza. Concetto che Bonaccorso propone con potenza attraverso il suo tratto dinamico e i suoi colori, ma soprattutto con la narrazione chiara e decisa, che affascina il lettore, proiettandolo in un futuro diverso e migliore, quello che l’autore ha sempre auspicato per Messina. Dei significati portanti del graphic novel abbiamo conversato con l’autore.
«Parliamo di una storia assolutamente fondamentale per noi siciliani – dice Bonaccorso – perché centriamo il focus su una delle prime rivoluzioni popolari a partire dall’anno 1000, quando un popolo si ribella a una superpotenza dell’epoca e riesce a vincere, portando un “vento di cambiamento”, rispetto al sopruso dei potenti».

Quale ritratto della città emerge dal romanzo e quale immagine potrebbe al meglio rappresentarla?
«Messina è una città che ha subito tanti disastri, ma si è sempre risollevata e per me l’immagine che meglio la rappresenta è la Fenice. È tosta, tant’è che Dante stesso parlando dei Vespri e dei siciliani ci definisce “popolo fiero”. Nel libro emerge il ritratto di una città forte e fiera, che si è sempre conquistata uno spazio nella storia con convinzione; e sono sicuro che col tempo lo rifaremo. Questa storia è ambientata 1800 anni fa, ma il messaggio è assolutamente attuale, per dire alla gente che noi siamo anche questo. Forse non ce lo ricordiamo, ma è nel nostro DNA».
Una parola chiave della tua narrazione?
«La parola chiave di tutto è l’amore: per la propria terra, anche per la Sicilia, la Grande Madre. Questo è il leitmotiv. L’amore tocca sia i buoni che i cattivi; solo che il sentire del buono si armonizza con l’ambiente, mentre il cattivo è mosso dall’amore di se stesso e questo è ben presente nel libro. Soprattutto c’è l’amore come desiderio di comprendere il diverso, l’altro; perché solamente la conoscenza porta alla libertà».
Temi oggi attualissimi…
«Sono temi universali. L’idea era infatti era realizzare qualcosa ambientata in un tempo remoto ma che parlasse all’uomo del 2022».
Si legge nella prefazione di Nadia Terranova che il tuo è un racconto guidato dalla speranza. Auspicando un futuro glorioso per Messina a quale definizione di speranza possiamo fare riferimento?
«Alla speranza di tornare a credere in noi stessi. Il cambiamento nasce prima nell’individuo, cercando di modificare quelle forze contrarie dentro. E già questo è un grosso sforzo che, a livello collettivo, potrebbe avere ripercussioni positive nelle azioni, negli eventi, in tutto. Non dobbiamo dimenticare che la politica è nata per gli uomini e non il contrario. Questo è fondamentale».
I tuoi lavori sono tutti pervasi da sentimenti di condanna del pregiudizio che sostiene la paura del diverso. Il pregiudizio è la più pesante zavorra dell’umanità?
«È probabilmente una conseguenza della paura, che non possiamo eliminare del tutto ed è un sentimento a volte necessario perché ci fa capire dove fermarci. L’importante è che assieme alla paura ci siano anche il coraggio e la consapevolezza. Bisogna cercare un confronto con quel diverso e trovare un’alchimia, un equilibrio fra tutti i sentimenti. Nel fumetto si evidenzia questa differenza; ad esempio, l’amore di Dina per Jacques e viceversa li apre a mondi differenti. Questo è l’aspetto più importante che ho cercato di trasmettere ai lettori e che mi auguro sia arrivato».
La narrazione attraverso il fumetto cosa aggiunge rispetto alla scrittura?
«Sono linguaggi complementari. Il fumetto stimola dei punti differenti rispetto alla scrittura. Lo accosto più al cinema. È molto complesso scrivere fumetti, perché c’è un codice cinematografico, grafico e del romanzo. Infatti ho cercato di scrivere il libro come un vero e proprio romanzo storico, ma allo stesso tempo dando quel tocco di azione tipico dei fumetti e dei film».
Ci descrivi il tratto del tuo disegno in termini tecnici?
«È un tratto dinamico, sicuramente molto caratterizzato, un po’ cartoon, abbastanza espressionista in alcuni tratti. Non si può staccare il disegno dal colore, perché il colore è studiato a livello emotivo e narrativo, è qualcosa che deve raccontare emozioni, momenti, cambi temporali, tensioni: è fondamentale. Ci tengo a sottolineare che questo è un lavoro corale nato con dei ragazzi messinesi – Giuliana La Malfa, Deborah Braccini, Giuliana Rinoldo e Alessandro Oliveri – alcuni professionisti, altri esordienti, che rappresentano l’idea di sviluppare un ambiente culturale, artistico e fumettistico messinese. Questo è molto bello perché il messaggio del fumetto è che noi possiamo fare delle cose molto buone da qui senza dovercene andare. Sono tutti quanti ragazzi che da qui lavorano con me per case editrici internazionali».
C’è quindi un grande fermento artistico a Messina. Questo potrebbe avviare un futuro culturale più incisivo in città?
«Il movimento lo vedo, vedo tanta gente capace che lavora per la BBC, il cinema ed editori stranieri, tra cui altri fumettisti. Quello che non vedo e su cui stiamo lavorando sono dei punti di aggregazione in cui la gente possa riunirsi; quindi centri culturali, spazi fisici e non virtuali, ove ci si possa confrontare e far nascere progetti. Posso anticipare che stiamo lavorando a una sorta di studio-centro culturale che inaugureremo a settembre, pensato come luogo di incontro e confronto. Siamo abituati ad una forma di impotenza acquisita, di negatività che diventa autolesionismo. Penso invece che le prossime generazioni abbiano il desiderio di “fare”. Se guardiamo alla storia passata, a quel frammento narrato nel libro, vediamo che a Messina combattevano tutti, uomini e donne, ed erano disposti a morire e sacrificarsi pur di non arrendersi. Questo siamo noi, anche se lo abbiamo dimenticato. Per fortuna tutto è scritto nelle cronache, basta leggere e riflettere».

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