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A dieci anni dal leggendario concerto del 2012, Ben Harper torna a incantare Taormina FOTO

Ci mette un po’ ad arrivare (il concerto inizia con tre quarti d’ora di ritardo), ma gli bastano una manciata di secondi per prendersi il Teatro Antico: il tempo di intonare a cappella le armonie di Below sea level...

Ci mette un po’ ad arrivare (il concerto inizia con tre quarti d’ora di ritardo), ma gli bastano una manciata di secondi per prendersi il Teatro Antico: il tempo di intonare a cappella le armonie di Below sea level, il brano che apre il suo ultimo disco Bloodline manteinance pubblicato a luglio, e l’incantesimo è lanciato. E ovviamente nessuno può restare immune.

Il cantautore californiano è tornato ad esibirsi a Taormina a dieci anni dal leggendario concerto del 2012, e lo ha fatto per rapire ancora una volta le orecchie, il cuore e l’anima di chi ha fatto anche centinaia e centinaia di chilometri per ascoltarlo insieme ai “nuovi” Innocent Criminals, la band che lo accompagna dal 1993 orfana dello storico bassista Juan Nelson (scomparso un anno fa e sostituito da Darwin Johnson) ma che ancora annovera gli altri due membri di lungo corso, il batterista Oliver Charles e l’istrionico percussionista Leon Mobley, oltre al chitarrista Alex Painter e al tastierista Chris Joyner.

Una passione, una devozione ai limiti della religione che lo accompagnano praticamente dall’inizio della carriera, dal capolavoro Welcome to the cruel world che nel ’94 lo consacrò come autore e interprete unico nel panorama musicale internazionale e al quale anche il concerto taorminese ha attinto per il suo momento più intenso, quando Harper ha intonato voce e chitarra Walk away e Waiting on an angel, quest’ultima dedicata «To the woman with the baby there on the top», ovvero alla moglie Jaclyn Matfus e al quinto figlio, Besso, che assistevano anche loro rapiti dall’incomparabile bellezza del Teatro Antico. Con una carriera ormai trentennale e una ventina di album pubblicati tra studio e live, mettere insieme la scaletta dev’essere stata un’impresa ma i diciotto brani che hanno stregato per due ore abbondanti gli oltre quattromila “fedeli” sono sembrati una scelta azzeccata, sia in termini di rappresentatività appunto della sua carriera (in linea di massima mancavano i pezzi della parentesi senza gli Innocent Criminals e in particolare con i Blind Boys of Alabama e il supergruppo Relentless 7) sia per quanto riguarda i diversi generi che negli anni Harper ha fuso in un sound unico e immediatamente riconoscibile: dal folk-rock di matrice dylaniana al reggae, dal blues all’R&B, dal gospel all’alternative rock.

Spazio quindi a Burn one down dall’album del ’95 Fight for your mind, poi Jah work e Will to live (album omonimo del ’97), Burn to shine e la coinvolgente Steal my kisses (Burn to shine, 1999), fino a da del 2016 How dark is gone e Finding our way da Call it what it is del 2016 ma soprattutto alle “chicche” dell’ultimo, meraviglioso disco con gli Innocent Criminals prima di una lunga pausa, peraltro accreditato al solo Harper: Diamonds on the inside del 2003, dal quale sono tratti appunto il brano omonimo che è tra i più noti e riconoscibili del suo repertorio, una rutilante versione di Amen Omen che ha chiuso il concerto mandando il pubblico letteralmente ai matti e, nei bis (insieme a Fly one time, da White lies for dark times del 2009), altre due perle come She’s only happy in the sun e ovviamente When she believes che ha mandato tutti a nanna più felici, arricchiti da un’esperienza quasi mistica, da un tuffo lungo due ore nella bellezza, nell’impegno sociale, nella poesia della musica.

Perfetta la cornice, non solo quella di uno dei luoghi più iconici del pianeta ma anche quella musicale assicurata dalla band: la coinvolgente tessitura ritmica di Mobley, Charles e Johnson e il supporto armonico e melodico di Painter e Joyner, sui quali Harper ha ricamato le sue straordinarie tessiture chitarristiche (specie con la lap steel acustica realizzata appositamente per lui dal liutaio di origine palermitana John Monteleone che ha sostituito di recente l’incredibile Weissenborn del 1920) e vocali. Trionfo annunciato ma forse ancora più clamoroso rispetto alle attese, con il pubblico più volte tutto in piedi a cantare i cori e scandire il ritmo con gli applausi. E alla fine, nei volti del pubblico che lasciava il Teatro Antico, la felicità e la consapevolezza di aver assistito a uno show realmente unico.

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