Ci sono attrici che segnano la propria carriera oltre il divismo e diventano mito per quel carisma indefinibile che le pone al centro della scena ogni volta che appaiono sullo schermo (o in palcoscenico). Questa fu la leggenda di Irene Lelekou, a tutti nota come Irene Papas dal cognome del primo (e unico) marito con cui in realtà visse solo cinque anni, dal 1947 al 1951 quando, in pochi giorni, la crisalide si trasformò in farfalla grazie al successo del suo primo film, «La città morta» di Frixos Iliadis.
Figlia di un insegnante di teatro e di una maestra, forse di origini albanesi, nata a Chiliomodi il 3 settembre del 1926 (ma la data è incerta), Irene cresce in un piccolo villaggio vicino a Corinto nel Peloponneso e poi si trasferisce ad Atene con la famiglia. Iscritta all’Accademia d’arte drammatica segue le indicazioni paterne innamorandosi dei grandi classici, ma si mette in mostra anche come modella per una casa di moda italiana. Praticamente debuttante al cinema, si ritrova al festival di Cannes del 1952 con «La città morta» e tutti la notano non solo per il carisma sullo schermo ma per le frequenti cene a bordo dello yacht dell’Aga Khan. Esce dalla Croisette come una diva e accetta la proposta dell’italiana Lux Film che le offre un contratto. Reciterà per Matarazzo, Steno, Freda, Francisci sull'onda della moda dilagante del Peplum: capelli corvini, sguardo intenso e ammaliatore, ottima tecnica, appare l'icona ideale dei film in costume che strizzano l’occhio all’antica Grecia e all’Oriente. Sarà Faidia a fianco di Gianna Maria Canale in «Teodora» e Grune a fianco di Sophia Loren e Anthony Quinn in «Attila» (1954). Proprio l’incontro col grande attore americano le spalanca a sorpresa le porte di Hollywood dove si innamorano della sua fisicità mediterranea registi di successo come Robert Wise ("La legge del capestro") e Joseph Lerner ("Le avventure dei tre Moschettieri").
Torna però in patria dove è già richiestissima, ma è ancora Hollywood a fare la sua fortuna nel 1961: la Fox la chiama per un ruolo ne «I cannoni di Navarone» di Jack Lee Thompson con Gregory Peck e Anthony Quinn. E’ un film di guerra ambientato in Grecia ed avrà un successo mondiale seguito, tre anni dopo, da quello ancor più clamoroso di «Zorba il greco», sempre col suo pigmalione Anthony Quinn e la regia di Michael Cacoyannis. A laurearla come protagonista assoluta è però l'"Elettra» di Cacoyannis, coproduzione greco-americana dalla tragedia di Sofocle. Girato nel 1962 dopo una convincente "Antigone», il film è candidato all’Oscar e conferma tutte le doti della sua interprete. Da questo momento comincia per Irene Papas una seconda carriera, spesso intrecciata col cinema italiano d’autore e che le fa scegliere l’Italia come patria adottiva. Girerà «A ciascuno il suo» per Elio Petri, «N.P.» per Silvano Agosti, «Roma bene» per Carlo Lizzani, «Le farò da padre» per Alberto Lattuada in un decennio illuminato soprattutto dallo straordinario successo televisivo de «L'Odissea» di Sandro Bolchi in cui era Penelope a fianco di Bekim Femyu nel 1968.
Anima inquieta, star internazionale, attivista politica esiliata dai Colonelli greci, sarà in «Z l’orgia del potere» di Costa Gavras (1969), di nuovo con Cacoyannis ne «Le troiane» (la diresse ben sei volte), con Francesco Rosi ("Cristo si è fermato a Eboli"), Terence Young ("Linea di sangue"), fino allo spettacolare cammeo di «Tutto in una notte» (John Landis, 1985) in cui impersonava una spietata capobanda iraniana. Richiestissima in teatro, appassionata di musica (tre dischi con Vangelis e gli Aphroditès Child), ambasciatrice della cultura greca nel mondo, Irene Papas vede il suo astro declinare dagli anni '80. Sceglie più spesso il teatro (anche in Italia con Mauro Bolognini), presiede la giuria di Venezia nel 1987, ritorna fugacemente con una produzione americana ("Il mandolino del capitano Corelli» di John Madden (2001), sceglie come vate della sua maturità Manoel de Oliveira per cui reciterà in «Party», "Inquietudine» e «Un film parlato» che è di fatto il suo passo d’addio nel 2003. L’anno dopo, avendo firmato un’Ecuba per il cinema a quattro mani con Giuliana Berlinguer annuncia il suo ritiro e si rifugia nella sua terra d’origine dove dal 2013 cominciava a essere insidiata dall’Alzheimer che a 96 anni la spegne definitivamente. 50 anni di carriera non bastano a descrivere la sua leggenda perché portava ogni volta in scena un carisma inconfondibile in cui lo spirito mediterraneo della Madre Terra rifulgeva nel suo millenario fascino. E’ stata una donna sola (ha sempre dichiarato che il suo unico, vero amore, era Marlon Brando con cui aveva avuto un breve flirt negli anni '60). E’ stata una grande donna, indipendente e volitiva; è stata una leggenda e il vero volto della Grecia di ieri e di oggi.
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