Una sonorità spudoratamente femmina, le voci come strumenti, quattro cantanti che sanno cantare e un genere senza genere. Una scelta tanto precisa quanto consapevole quella delle Glorius4. Scansare le categorie e camminare sulle corde che separano il coraggio dalla follia.
Sarà che Agnese Carrubba (voce/piano/percussioni), Federica D'Andrea (voce), Cecilia Foti (voce) e Mariachiara Millimaggi (voce/piano/percussioni) vogliono essere altro, oltre rispetto al clichè abusato che vuole un gruppo femminile (peggio se siciliano, messinese) com’è nell'antico immaginario, col tipico look, il tipico swing, il tipico «dubidubidù». Sarà che si sono incontrate vent’anni fa e si sono scelte per natura, ognuna con la propria cassa di risonanza, colore, timbro, estensione. Che si sono spinte senza rete, si sono avvolte l’una dell’altra, si sono ammantate di vibrazioni. Come quando compri uno strumento e sai che suono vuoi che faccia. E la voce è l'esatto equivalente, umano, di quella meccanica. La voce. L’epicentro, lo studio, la ricerca. Il mondo affascinante, evoluto che sta dentro al petto. «La voce che si trasforma con noi, tra equilibri e sperimentazioni». E il sacro timore. «Che cambi, che risenta di emozioni, di preoccupazioni, di tutto quello che la vita le incide sopra».
Tra loro funziona che tutte ci mettono tutto. I gusti, la sapienza e il sapore, la polifonia. «Componiamo insieme gli arrangiamenti originali, poi Agnese ci sistema con la penna blu».
Dopo dieci anni di carriera ufficiale, un disco («Play») e un singolo («A 1000 all’ora»)… anche se si conoscono a memoria «ancora ci guardiamo quando cantiamo, a volte dobbiamo addirittura evitare perché quella che ci investe e che ci carica è emotività fortissima».
Eppure capita che i grandi successi non diventino hit. E che gioia e fatica si confondano. «Caricando e scaricando strumenti, guidando fino al Veneto. Cercare riscontro è umano. Perdersi d’animo è sempre dietro l’angolo».
C'è una percezione interna ed una esterna in ogni cosa e non è detto che coincidano. «L'impatto col mercato è stato, è problematico per noi che abbiamo investito sul nostro suono, nel nostro impasto vocale. Ai primi concorsi in Italia ci siamo imbattute in uno standard che era esattamente quello da cui intendevamo fuggire. Coi microfoni già settati sui registri confezionati, semplicemente da consegnare alla voce corrispondente».
Di gruppi vocali impressionanti (di «videoclip viventi») ce ne sono tantissimi, internet ne è pieno. Ma l'assimilazione a questo o quello è un danno. «Poi a Parigi abbiamo vinto, nessuno ci ha chiesto se fossimo da una parte o dell'altra, jazz o pop. Lì è stata libertà, conferma che il nostro non fosse solo un vezzo di gioventù. Certo, quando hanno chiamato il manager delle Glorius4 ci siamo rese conto che eravamo noi le uniche sole, le piccole fiammiferaie del sud del mondo. Eppure per ogni “ma da sole dove dovete andare?” il contrappeso era una soddisfazione grandissima».
Il singolo estivo, «A 1000 all’ora»? Per dire che «non siamo soltanto le vocalist dei festival. Ci divertiamo con la musica e volevamo dimostrarlo. Esistiamo, siamo qui. Anche per abbattere qualche muro di silenzio, per osare, per uscire dall'anonimato».
Quanta bravura sconosciuta alle radio, al mercato, alla tv (eccetto una bellissima vetrina nella più speciale e raffinata delle trasmissioni, «Propaganda Live» de La7). Quanta illusione e delusione. A fine mese le Glorius4 saranno in cartellone allo storico Festival di Primavera dei Teatri («eccezionalmente in autunno per questione di soldi. L'arte non è priorità in questo Paese...»). «La nostra partecipazione si intitolerà come il singolo, “Dieci anni a 1000 all'ora”».
Ma stavolta non sarà un tormentone, piuttosto una promessa. Per un momento di Glorius. Per una professione, che non sia solo di fede.
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