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Addio a Piero Nuti, teatrante che osava. Quell'indimenticabile "follia" in scena a Messina

Piero Nuti, attore e regista, è mancato, a 94 anni nella sua casa torinese.

Piero Nuti, attore e regista, è mancato, a 94 anni nella sua casa torinese. Genovese di nascita, dal 1997 ha vissuto a Torino, al suo fianco la grande attrice Adriana Innocenti, ed è diventata una colonna della compagnia Torino Spettacoli. Ha recitato fino a novembre scorso, portando in scena Processo a un cittadino da Cicerone.

"Piero Nuti era uno di quegli attori - scrive il critico teatrale Vincenzo Bonaventura in un post sui social - che incarnava da solo il concetto stesso di Teatro. Non solo per quella sua voce profonda e chiara, di quando una dizione perfetta (e mai artefatta) faceva parte del patrimonio indispensabile di un attore di prosa, una voce che arrivava all’anima e sembrava destinata a rimanerci sempre, qualunque fosse il suo ruolo. Incarnava il Teatro perché era attore, regista, autore e anima produttiva del Teatro Popolare di Roma, insieme con la moglie Adriana Innocenti, una delle attrici fondamentali del teatro italiano del secondo Novecento, scomparsa sei anni fa.

Martedì Piero l’ha raggiunta e lo riconosco perfettamente in queste righe pubblicate dalla Compagnia Torino Spettacoli: «“Beh, posso dire di aver vissuto!”, ce lo ha detto ieri, con la sua voce straordinaria e con un sorriso convinto e sereno». Sono commosso, non posso negarlo, e mi sembra proprio di sentirlo dire queste parole degne di lui, anche perché il suo “pianissimo” arrivava forte e chiaro fino all’ultima fila della platea.

Nella lunga attività del Teatro Popolare di Roma (negli ultimi anni Nuti viveva a Torino, dove recitava e insegnava e dove era andato in scena fino all’ottobre scorso) Adriana e Piero vennero spesso a Messina, nel Teatro in Fiera prima e nel Vittorio Emanuele poi, con le loro messinscene di grandi classici, realizzati però con scelte audaci e significative, come quando presentarono “Oreste” di Alfieri (già di per sé un azzardo in termini di popolarità), con la regia di Giovanni Testori che scelse una messinscena in forma di oratorio, con gli attori sempre immobili sul palcoscenico. Apparentemente una follia. Invece quella staticità incredibilmente riusciva a esaltare il movimento delle azioni e delle emozioni descritte dai non facili versi alfieriani. Praticamente un miracolo.

Loro erano così: osavano, anche in maniera discutibile talvolta, ma sempre sinceri e innamorati del teatro. Penso ad Adriana: primadonna con registi quali Strehler, Ronconi ed Enriquez, avrebbe potuto fare una carriera “comoda” da teatri stabili. E l’avrebbe potuta fare anche Piero, anche se in ruoli da comprimario.
Invece, erano quanto di più lontano si possa immaginare dal concetto di teatro “impiegatizio”. Per loro la tournée, faticosa per quanto potesse essere, era motivo di vita, era gioia pura. Ricordo con quale entusiasmo – loro più di chiunque altro – partecipavano all’Incontro con l’attore, organizzato dalla Compagnia delle Arti nei locali del Gabinetto di Lettura (al quale si riferiscono le foto sotto) e da me condotto.

Erano felici di raccontare le loro scelte e di argomentarle con il cuore e con la testa (direi, anche con la pancia), accompagnati dagli eccellenti attori di cui sapevano circondarsi (ricordo, per esempio, Elena Zareschi, Pamela Villoresi, Leda Negroni, Sergio Basile). Un acceso dibattito si accese in occasione dell’Incontro seguito al debutto messinese de “La fiaccola sotto il moggio” di Gabriele D’Annunzio, con la regia di Piero Maccarinelli. Il D’Annunzio teatrale non mi è mai piaciuto e nell’introduzione della serata espressi il concetto: questo provocò una bella e amichevole disputa. «Il nostro mestiere – mi rispose Nuti – ci porta a far conoscere dei testi che non si fanno tutti i giorni. La nostra cooperativa non ha mai fatto bieco commercio del nostro lavoro».
E questa è una delle qualità principali che confermano l’apporto non piccolo che Piero Nuti ha dato al teatro italiano".

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