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Banksy, l’anarchismo gentile. Cento opere in mostra a Genova

Per chi volesse conoscere l’anima dell’anarchismo romantico, quello che deride il potere, che denuncia l’ipocrisia, quello che mette i fiori nei cannoni la mostra “The World of Banksy - The Immersive Experience” allestita a Genova (fino al 16 luglio), dopo Milano, Torino, Verona, è tutta da vedere.

Lo spazio è la vecchia, scrostata, sporca ex biglietteria della stazione di Genova Principe che dopo aver vissuto i suoi momenti di gloria è diventata un’attraente icona di archeologia industriale con i suoi tubi rossi e i suoi cavi penzoloni e in bella vista. Spazio ideale per ricreare come un giro attorno al mondo le atmosfere volute da Banksy nei sobborghi e nei centri di grandi città non solo europee. Le opere più famose ci sono tutte (nel complesso 100), quelle rubate, vendute o riprodotte: gli iconici Rats, compreso quello che venne strappato dai muri del Centre Pompidou a Parigi, omaggio alla rivolta parigina del ‘68, Dove of Peace, Laugh now, There is always hope, Turf war, Flower Thrower e gli inquietanti Flying Copper che penzolano anche dal soffitto.

«Uno degli obiettivi di questa mostra – analizza il curatore Manu de Ros – è cercare di far capire il messaggio di Banksy. Egli è un anticonformista, è un cittadino del mondo, è un artista conosciuto universalmente. Ma i suoi messaggi non sempre “passano”. E noi questo abbiamo voluto fare».

L’allestimento della mostra è curato nei minimi dettagli, “spinto” dall’ambiente post-industriale che aiuta a meglio comprendere l’opera di questo straordinario artista. A ciclo continuo, e nonostante ci siano opere viste e riviste, tutte provocano diverse e profonde sensazioni. La bambina che abbraccia la bomba d’aereo e quella che cancella la svastica con decorazioni rosa, la dinamite legata al torace di un Bambin Gesù seduto sulle ginocchia di Maria, i due “bobbies” che si baciano, il soldato che controlla i documenti di un asino, il manifestante con fazzoletto legato sul volto che impugna il mazzo di fiori invece di una molotov sono tutte opere famose e deflagranti, piene di storia, di provocazione. C’è tutto un arco temporale nelle opere di Banksy, che è fatto di lotta e non sarà mai di governo. C’è l’ironia, «una risata vi seppellirà» diceva Bakunin, c’è la denuncia e l’orrore della guerra, c’è l’amore per il diverso – quei topi, simbolo del brutto-sporco-cattivo che nessuno vuol accanto – e per la libertà e c’è l’ingenuità.

E c’è il dolore. Perché appena girato l’angolo di uno di quei muri scrostati ti si para davanti Zattera Medusa, l’opera di Banksy che riporta al quadro di Théodore Géricault. Uomini su una zattera in balia delle onde che stanno morendo e sullo sfondo lo yacht di lusso che passa indifferente. Impossibile non pensare alle stragi di migranti nel Mediterraneo e all’indifferenza del potere. Impossibile non pensare. Sempre. E ancor di più in giorni come questi, con il Paese straziato per la tragedia di Steccato di Cutro, sulla costa ionica calabrese: il cortocircuito tra apparati dello Stato, il naufragio di un caicco, la morte di decine di migranti. Il naufragio della pietà.
E se questo voleva fare l’esposizione, se voleva provocare il pensiero, ha fatto centro. Del resto, signori, questo è Banksy.

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