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Oratorio, cani, fidanzata, esultanze e quel “maledetto” gol: ecco chi è Manuel Locatelli, l'eroe dell'Italia di Mancini FOTO

Quando un gol rischia di rovinare la carriera. Un paradosso, ma non per questo così raro, che si verifica spesso nel calcio di oggi, nella società massmediatica che brandisce titoloni usa-e-getta, fagocita campioni e, dopo averli esaltati, ne pretende lo “scalpo”. È successo anche al baby Manuel Locatelli. Ed è successo esattamente 1698 prima della definitiva consacrazione del ventitreenne, nella notte dell'Olimpico contro la Svizzera. Correva il 22 ottobre del 2016, Locatelli era un giovane della Primavera del Milan aggregato in prima squadra. L'allora tecnico rossonero, Montella, gli diede fiducia dal 1'. E contro la Juventus, non una squadra qualunque, non in un match di fine anno quando - per lavarsi la coscienza - molti tecnici/molte società scelgono di gettare nella mischia sbarbati a iosa all'insegna del “giovane è bello”. Magari dopo averli ignorati altrettanto bellamente per otto mesi e più. Locatelli gioca una partita memorabile, infiocchettata al 20' del secondo tempo con un missile terra-area che spacca la porta bianconera: è il gol che decide l'incontro. Da quell'istante, quel maledetto istante, Locatelli diventa “il nuovo fenomeno del calcio italiano”. E non solo per i tifosi milanisti - lecito attenderselo da chi ama sognare e adottare nuovi beniamini - che fino a quel momento di Locatelli ne conoscevano due: “quello della pubblicità” e Thomas Locatelli, fantasista di belle speranze che il suo in serie A lo fece, arrivando anche a indossare la maglia del “Diavolo”, ma senza fortuna. Lo chef Giorgio Locatelli sarebbe arrivato dopo. Anche dopo Locatelli III, quello della nostra storia, di nome Manuel.

Dai titoloni all'oblio

Le aspettative s’impennano ma, con la stessa “violenza”, in seguito alle prime prestazioni sbiadite, il giocatore di Lecco viene prima dato in pasto ai detrattori e poi recluso nel dimenticatoio. Diventando quel campione - usa-e-getta, appunto - che tanto piace esaltare e sbattere sul fondo del barile. E tutto nel giro di poche settimane. Maledicendo finanche l'oratorio di Pescate, che gli aveva offerto i natali calcistici, con papà Emanuele. L'uomo che pianse dalla gioia nel giorno in cui il suo Manu firmò il primo contratto da pro, avvertendolo sui pericoli che tutto questo potesse significare per lui. Tempi che, d'un tratto, apparivano lontanissimi nel periodo più buio a tinte rossonere. Perché il Milan e l'ambiente apparivano troppo ingombranti per un giocatore come lui: dopo avergli dato un po' di fiducia, la società collezionò uno dei peggiori affari della storia recente, ma che allo stesso tempo si rivelò un “tredici” per il ragazzo e per la nuova squadra pronta ad accoglierlo a braccia aperte: il Sassuolo. De Zerbi, maestro scappato dall'Italia usa-e-getta, lo ha plasmato, facendolo diventare un centrocampista top. Forse solo Brocchi, suo allenatore nel settore giovanile del Milan, era riuscito ad apprezzarlo allo stesso modo. E il ct Mancini, che non è mica stolto, lo ha piazzato al centro del progetto azzurro. Non solo perché Verratti è ai box. Perché Manu lo merita.

L'esultanza speciale

In barba al “Porca puttena” sdoganato dal duo Immobile-Insigne, Locatelli ha esultato in una maniera molto meno inflazionata: facendo il segno della “T” con la mano. Perché? Perché Thessa Lacovich è il nome della sua compagnia. Ma la “T” va associata anche a Teddy, il cagnolino che adesso non c'è più. La “T” può essere associata anche a “troppo presto”. Perché Manuel è stato esaltato in un lampo e con la stessa rapidità, quasi tutti, gli hanno voltato le spalle. Troppo presto. Ma il tempo è galantuomo. E i talenti - guarda caso ritorna la “T” -, almeno lui, li sa riconoscere. E attendere.

 

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