Sostenere che, sì, «ce la possiamo fare» non equivale a dire che «ce la faremo». Basti sfogliare il libro della storia più recente per capire quanto è mutato il clima sul pianeta azzurro nell'ultimo biennio. No, guardare all'Italia che trionfava a Berlino nel 2006 o a quella di Prandelli che si laureò vice-campione d'Europa nel 2012, non fa bene. L'‘esempio’ è l'ultima Italia, quella di Ventura, sbattuta fuori già prima che i Mondiali in Russia iniziassero: può suonare strano, ma è quella la prima pagina di questa storia. O l'ultima della storia precedente. Fate voi. Ecco, solo se il presupposto è “da dove questa Italia è ripartita” tutto ciò che verrà dalla kermesse itinerante sarà da considerare oro colato.
Certo, un'eliminazione agli ottavi contro Ucraina o Austria, mica l'Olanda di Cruijff - cambierebbe radicalmente i giudizi, ma sposterebbe di poco la sostanza. Perché l'Italia del ‘Mancio’ è un progetto, suggellato da quel contratto fino al 2026. Saranno trascorsi 20 anni dal trionfo mondiale in Germania quando l'accordo tra il tecnico di Jesi e la Federazione si concluderà.
(Semi)giovani: la rivoluzione deve essere iniziata
Il primo passo verso la guarigione è la consapevolezza di essere... malati. L'Italia lo ha capito troppo tardi, e cioè a (impietosa) diagnosi spiattellata sotto il naso dal ‘medico svedese’, nel 2017. Solo la mancata partecipazione ai Mondiali del 2018 ci ha mostrato il vero volto della Nazionale: rugoso e attempato, specie se paragonato ai visi da lifting dei vicini di casa europei. Ma non solo sotto il profilo tecnico, perché anche i vertici - da allora - hanno uno smalto diverso (ma di strada da fare ancora ce n'è...). Nessuna toppa da piazzare per non mostrare il buco - inserendo un tecnico di transizione alla Ventura, per intenderci, - ma un vestito nuovo. Un progetto nuovo. Che, oltre allo staff tecnico di Mancini (uomini fidatissimi, ex compagni di squadra), ha previsto un restyling anche negli interpreti del campo. Ché poi la rivoluzione sta tutta lì. Siamo davvero come gli altri? Ecco, magari converrebbe uscire prima da questo equivoco: no, non lo siamo. Però iniziamo a essere qualcosa anche noi. Perché laddove noi parliamo dei ‘nostri’ Pessina, Locatelli e Raspadori come di giovanissimi, facciamo torto a inglesi e tedeschi che hanno, evidentemente, un altro concetto di ‘giovani’. Perché - sempre i nostri - Pessina, Locatelli e Raspadori hanno 24, 23 e 21 anni, ben 6, 5 e 3 in più di Bellingham e Musiala. Ma l'altro falso mito da sfatare è che “solo perché è giovane funziona”. O, almeno, non sempre. Come in tutte le vicende della vita, la virtù sta nel mezzo. E la formula dei (semi)giovani funziona.
Compatti: gruppo soprattutto fuori
La compattezza è un altro fattore chiave. No, non si fa riferimento al fatto che tutti gli uomini di movimento azzurri presenti a Euro 2020 abbiano già esordito, anche perché per molti di loro quegli scampoli di gara (in alcuni casi meno di 10') rischiano di diventare gli ultimi della kermesse. A spiccare, in realtà, è lo spirito di gruppo: tutti sono gli stessi? Può mica essere? Fuori dal prato verde, sicuramente. La serenità che si respira nel gruppo azzurro è arrivata nelle case degli italiani, contagiosa. Vedere un leader della Nazionale come Giorgio Chiellini sorridere come un ragazzino di fronte ai poco più di 15mila dell'Olimpico, nel giorno del ritorno alla normalità (o quasi) con il pubblico sugli spalti, o l'abbraccio di gruppo dopo Italia-Galles con tanto di remake - per quanto sgraziato - di ‘Notti Magiche’ vale più dei concetto «hanno giocato “gli altri”, ma il risultato non cambia». Ma questo quella vecchia volpe del ‘Mancio’ lo sa bene e volentieri ha gettato “fumo negli occhi” agli addetti ai lavori. “Voi occupatevi dei numeri, tanto noi cresciamo soprattutto sotto altri aspetti”.
Senza pressione: peggio di come e dove eravamo...
Eccolo il concetto chiave. Che racchiude tutti gli altri: l'Italia non ha obblighi o scadenze a breve termine. Lavora serena proprio per questo. E con serenità ha centrato il record di 30 gare senza sconfitte (appartenuto e che appartiene a Pozzo) affiancando la Nazionale di un'altra epoca. Il bello di chi deve ricominciare dalle macerie è che ha solo margini di miglioramento davanti a sé.
Si può fare, dunque. Ma non ad ogni costo. Perché, mai come questa volta, conta la volontà di farlo.
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