Vincere dominando? Fatto. Vincere meritando? Fatto. Vincere soffrendo? Fatto. Il mille volti dell'Italia di Mancini hanno un unico comun denominatore: quello della vittoria. Si può star a discutere da qui fino al termine dell'Europeo sulla consistenza degli avversari incontrati sin qui dagli Azzurri (Turchia, Svizzera, Galles e Austria), ma altre Italie del passato hanno toppato contro competitor di rango ancora inferiore. Restando in tema internazionale, ma traslando il paragone ai Mondiali, giova precisare che l'Italiona del Trap - al di là del disastroso arbitraggio di tal Byron Moreno - nel 2002 ebbe il coraggio di uscire con la Corea del Sud. Ecco, diciamo che questa Italia il suo dovere lo compie appieno, non manca gli appuntamenti. E anche il partito degli avversari materasso sarà accontentato dalla prossima partita (in poi, si spera), perché ai quarti i Mancio boys incroceranno o i campioni d'Europa in carica o la prima del Ranking Mondiale. Cr7 o Lukakone. Il Portogallo o il Belgio. Scegliete voi il riferimento più appropriato, ma la sostanza non cambia.
L'evoluzione della specie italica: Darwin ci aveva preso
C'era una volta l'Italia dei "10". Quella che poteva contare nello stesso momento sul talento di Baggio, Zola, Mancini. E poi di Baggio, Totti, Del Piero. E poi di Del Piero, Totti e Cassano. I nostalgici del passato, praticamente coloro i quali hanno visto la luce prima del 2000, storceranno il naso ponendo come termini di paragone quelle Italie di ieri e questa Italia di oggi. Basti conoscere le fondamenta della scienza dell'evoluzione per capire cosa sta avvenendo da vent'anni a questa parte. E Mancini - guarda caso uno di quelli dei triumvurati tutti classe e genio - è stato forse il primo a intuirlo. O meglio, va dato atto ad Antonio Conte di aver battuto questa strada già nel 2016, nella Nazionale dei Pellé e degli Zaza che fece tremare le big d'Europa e superò i campioni in carica. Mancini, però, ha fatto un ulteriore passo in avanti e sta sfidando una sorte ancora più avversa, perché Conte, almeno, poteva contare sulla linea difensiva maginot della Juve pluricampione d'Italia (Buffon nel pieno e la BBC) oltre che su un certo De Rossi. A Mancini, di quella linea insuperabile, è rimasto un pezzo e mezzo (Bonucci a pieno servizio e Chiellini per una partita e un po': entrambi non lontani dall'epilogo in azzurro). In cosa è stato bravo Conte prima e bravissimo Mancini poi? Nell'introiettare uno dei concetti base della genetica: i componenti di una stessa specie si evolvono gradualmente nel tempo attraverso un lento processo di selezione naturale, che porta alla scomparsa dei soggetti più deboli. Solamente quelli dotati dei caratteri genetici che permettono di sopravvivere alle diverse condizioni ambientali riescono a riprodursi, trasmettendo i propri caratteri ai discendenti. Darwin, in una sola parola. E così, come il bracconaggio selvaggio può portare, più o meno rapidamente, all'estinzione delle zanne negli elefanti, così l'Italia ha capito che la ricerca ostinata di una nuova generazione di "10" sarebbe stato tempo perso. Meglio puntare su altro, sulla valorizzazione dei migliori semi(giovani) di oggi e sulla tenacia dei veterani che non mollano la presa. Un mix che, nei primi 360' di Euro 2020, ha funzionato.
Chiamatelo pure Totò Pessina: l'uomo che sarebbe dovuto nascere... in Danimarca
Se fossero piovute mongolfiere, Totò da Palermo le avrebbe scaraventate lo stesso - e tutte - alle spalle dei portieri. Accadeva circa ventun'anni fa, quando l'Italia di Azeglio Vicini viveva il Mondiale a casa propria. Schillaci passò in poco tempo da outsider a pietra angolare azzurra. Da rincalzo a talismano. Ogni pallone che toccava, con qualsiasi parte del corpo, erano in grado di giustiziare gli avversari. Non cercava la via della rete, semplicemente perché in quelle Notti magiche la via della rete era lui. Un po' come sta accadendo al Totò dei giorni nostri: Matteo Pessina. Altro ruolo, ma storia simile. Perché proprio come Schillaci, in ballottaggio con il centrocampista Luca Fusi alla vigilia di Italia '90, il centrocampista dell'Atalanta si è presentato a Euro 2020 come uno dei tanti. Anzi, come il primo degli esclusi, se non fosse stato per l'ennesimo oltraggio muscolare al talento di Sensi. Uno di quelli che, per intenderci, in un album Panini della competizione finirebbe in altri giocatori: nome, cognome e breve descrizione anagrafica; senza nemmeno avere la possibilità di ricordare e custodire gelosamente la figurina con il proprio volto e un sorriso grande così. Eppure quel sorriso grande così lo ha già mostrato due volte di file, entrando dalla panchina contro l'Austria e giocando dall'inizio contro il Galles. Implacabile quando tocca la palla in area di rigore (due su due). Proprio come la Danimarca che nel 1992 non doveva partecipare agli Europei, ma si prese la scena (e, cio che più conta, la Coppa) da “ripescata”. Non avrà gli occhi spiritati di quel Totò, ma questo (Totò) - pur chiamandosi Matteo - è stato inebriato dalla stessa magia. E il Mancio che visse in panchina quelle Notti magiche (da giocatore) e vive in panchina (da ct) queste aspiranti Notti magiche, sa cosa vuole dire poter disporre di una variabile del genere. Giocherà ancora, c'è da scommetterci. E magari giocherà con l'inizio.
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