Lunedì 18 Novembre 2024

WikiLeaks, quando Julian Assange creò la "Cia del popolo"

 
 
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La giustizia britannica ha respinto la contestata istanza di estradizione negli Usa di Julian Assange, dove il fondatore australiano di WikiLeaks è accusato di spionaggio e pirateria per aver contribuito a svelare file riservati americani relativi fra l'altro a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. A emettere il verdetto, a sorpresa rispetto alle attese, è stata la giudice Vanessa Baraister. Assange, che Oltreoceano rischiava una condanna a 175 anni, sarebbe a rischio di suicidio, ha decretato la giudice. Washington potrà fare appello. Riproponiamo un articolo pubblicato sull'edizione cartacea della Gazzetta del Sud il 15 aprile del 2010. 


In questi giorni, da Washington a Pechino, nelle "stanze dei bottoni" c'è chi trema. In molti, tra un caffè e l'altro, corrono a spulciare un sito che minaccia di rivelare su internet informazioni "riservate" e segreti di Stato. Il nuovo spauracchio dei potenti si chiama WikiLeaks ("wiki" richiama lo spirito collettivo dell'enciclopedia online Wikipedia, mentre "leaks" significa "fuga di notizie") un'organizzazione che, sulle proprie pagine web, permette a chiunque di pubblicare e commentare documenti occultati da governi illiberali o aziende private corrotte. In parole povere, l'obiettivo principale del sito creato nel 2006 dall'australiano Julian Assange, è di aprire la strada al giornalismo investigativo del futuro per «portare alla luce comportamenti non etici». Naturalmente, al "delatore" e ai responsabili della "fuga di notizie" è garantito l'assoluto anonimato grazie anche a software sofisticati. Dietro questo progetto, subito ribattezzato dai media «la Cia del popolo», ci sarebbero 22 dissidenti cinesi (tra i quali alcuni matematici) che sono già riusciti a coinvolgere un migliaio di giornalisti ed esperti informatici (di ogni parte del mondo). E che i promotori del controverso progetto facciano sul serio lo dimostrano in particolare due "scoop" clamorosi. Il primo, il 24 novembre del 2009, quando WikiLeaks ha pubblicato un "racconto inedito" dell'11 settembre 2001: oltre mezzo milione di messaggi mandati quel giorno funesto attraverso sms e email. Il secondo, e più recente, risale a pochi giorni fa (il 6 aprile) quando è stato diffuso il video di una strage di civili compiuta dai militari americani il 12 luglio 2007 nella zona sudorientale di Bagdad: i piloti di un elicottero Apache americano, scambiando i teleobiettivi delle macchine fotografiche dei giornalisti per armi, uccisero un reporter, il suo autista e altri dieci civili iracheni. Ma le "spie" del web hanno anche svelato i segreti dell'equipaggiamento militare utilizzato dal Pentagono nella guerra in Afghanistan, il "manuale dei carcerieri" di Guantanamo e smascherato la corruzione del governo e delle istituzioni in Kenya. E non è finita. Lo staff annuncia di avere già pronti per la trasmissione in rete oltre un milione e mezzo di "X files" (altri video scottanti, database ed elenchi occulti). C'è chi ritiene, come il quotidiano "The National", che «WikiLeaks probabilmente ha prodotto più scoop nella sua breve attività di quanti ne abbia realizzati il Washington Post negli ultimi 30 anni». Ma la notizia, forse ancora più clamorosa, è un'altra. Adesso, questa combriccola di "fanatici della verità" potrebbe addirittura trovare l'appoggio di uno Stato europeo, l'Islanda, che si propone di diventare un vero «paradiso della libertà di espressione e di informazione». Non a caso in questi giorni lo stesso Julian Assange è stato nel Paese insulare (come racconta in un'intervista sul mensile "Wired") per collaborare con i 19 parlamentari (un terzo del totale di 63 deputati) promotori di "The Icelandic Modern Media Initiative", una proposta di legge che sarà votata entro la fine di maggio. Se venisse approvata, l'Islanda diventerebbe per l'informazione ciò che la Svizzera rappresenta per il fisco: nel Paese sarebbe garantita protezione legale per le fonti e gli informatori. Sarà inoltre vietato il cosiddetto "turismo della diffamazione", in quanto non si potrà più fare causa ad una testata nella nazione in cui la legge è meno favorevole (è il caso ad esempio dell'Inghilterra), ma soltanto nello Stato in cui il giornale ha la sua sede centrale. Così gli islandesi sono certi di poter convincere i grandi giornali di tutto il mondo a trasferire nel Paese scandinavo le loro sedi principali, in modo da essere protetti dal punto di vista legale (risparmiando milioni di euro in querele e cause per diffamazione). «È difficile immaginare – scrivono i promotori del disegno di legge – una risurrezione migliore per un Paese devastato dalla corruzione finanziaria che a sua volta promuovere la trasparenza e la giustizia in un modello di business». Sarà istituito anche un premio internazionale per la libertà di espressione da assegnare a reporter, editori e attivisti. WikiLeaks.org dalla fine di dicembre è rimasto chiuso per un paio di mesi al fine di consentire ai propri volontari di concentrarsi sulla raccolta di fondi (si accettano donazioni soltanto dai privati). Adesso, dalla fine di marzo, quando è stata reperita la metà dei 600 mila dollari necessari a far funzionare l'articolato "marchingegno", il sito ha ripreso a pubblicare a singhiozzo. L'impegno più gravoso per questi "eroi" del giornalismo d'assalto, sarà rispettare la regola più importante della professione di ogni reporter: la verifica delle notizie. Il rischio di chi si prefigge di pubblicare informazioni tanto riservate quanto rilevanti, è di essere strumentalizzato da chiunque intenda colpire i propri nemici restando nel buio. E come in una trama perfetta da film giallo, non mancano i sospetti che ci possa essere la stessa Cia dietro WikiLeaks. Se così fosse, prima o poi, le "prove" del complotto finirebbero sul web. Le pubblicherebbe WikiLeaks?  

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