Io sto con gli ippopotami è il titolo di un film cult di Bud Spencer e Terence Hill del 1979, ma adesso è diventato uno slogan scandito a gran voce dagli animalisti della Colombia dove c'è chi vuole fare fuori una cinquantina di queste simpatiche bestiole, adducendo motivi scientifici. La «soluzione finale» per gli ippopotami colombiani è stata infatti proposta da un gruppo di ricercatori universitari messicani e colombiani, che l'hanno pubblicata sul numero di gennaio della rivista scientifica Biological Conservation. Il problema nasce nel 1984 quando Pablo Escobar, settimo uomo più ricco al mondo e fondatore del cartello di Medellín, decise di costruirsi uno zoo privato importando dall'Africa quattro ippopotami e decine di giraffe, leoni, tigri ed elefanti nel suo ranch, la Hacienda Napoles. Il suo sogno era fare politica riuscì a farsi eleggere senatore per poi diventare presidente. Gli andò male ma, anche se già latitante, per farsi pubblicità con el pueblo «Don Pablo» continuò almeno sino al 1986 ad invitare scolaresche da tutta la Colombia nel suo ranch - che dista 320 Km dalla capitale Bogotà - per ammirare quella che all'epoca era la più grande riserva di animali esotici del paese. Un vero Parco safari narcos, all'interno del quale il boss aveva messo vicino agli ippopotami statue enormi di dinosauri e, sopra l'arco d'ingresso, una copia del suo primo aereo monomotore con cui inondò di coca gli USA. Dopo la morte del boss, nel 1993, le autorità confiscarono Hacienda Napoles e regalarono la maggior parte degli animali esotici ad altri zoo ed istituzioni legali. Tutti meno gli ippopotami che essendo pacifici, «non rappresentano un problema». Mai previsione fu più sbagliata perché complice il clima tropicale e una quantità d'acqua e vegetazione ottima per la loro riproduzione, le tre femmine e l'unico maschio d'ippopotamo importati dal boss da allora si sono moltiplicati a ritmi di gran lunga superiori rispetto a quelli africani. Inoltre, da buoni erbivori, «gli ippopotami di Escobar» consumano ogni anno tonnellate di coltivazioni dei fazenderos locali che, logicamente, vedono in loro più un nemico da abbattere che un simpatico animale tropicale. Già nel 2009, quando il problema della loro presenza sempre più massiccia nelle campagne attorno alla Napoles venne alla luce, era scoppiata una lunga diatriba tra autorità locali e animalisti dopo che un ippopotamo era stato ammazzato a colpi di fucile e un altro con un'iniezione letale. Nel 2014 le autorità colombiane avevano tentato una castrazione forzata degli ippopotami e, per sterilizzarli, avevano usato i fondi recuperati ai cartelli dei narcos. Il problema è che con queste «placide bestiole» la castrazione non ha funzionato: nonostante le loro dimensioni gli «ippopotami di Escobar» si sanno infatti nascondere molto bene, proprio come il loro defunto padrone. Anche perché si sono oramai spostati molto da Napoles, a circa 150 Km a est della città di Medellin, nel dipartimento di Antioquia, disperdendosi intorno al bacino del fiume Magdalena. I ricercatori «killer» sostengono che oggi ci sono almeno 80 ippopotami nell'area, rispetto ai 35 del 2012, e temono che se non si farà nulla gli animali continueranno a diffondersi in tutta la Colombia. Troppi anche perché gli effetti negativi dello sterco di ippopotamo sui livelli di ossigeno nei corsi idrici costituisce, a detta loro, un danno che può colpire i pesci e, indirettamente, anche gli esseri umani. Inoltre, sollevano preoccupazioni sulla possibile trasmissione di malattie dagli ippopotami all'uomo. Infine, mangiano e danneggiano i raccolti e possono essere aggressivi con gli esseri umani. A supporto della loro teoria che consiglia l'abbattimento di almeno una cinquantina di ippopotami, i ricercatori citano alcuni episodi tra cui un attacco di ippopotami nel maggio 2020 contro un uomo di 45 anni che è rimasto gravemente ferito.