Il quinto giorno di blocco nel Canale di Suez non ha portato la svolta attesa. La nave portacontainer Ever Given è ancora incagliata, in posizione diagonale, ostruendo il passaggio alle 321 navi che, su entrambi gli sbocchi dello stretto artificiale egiziano, sono ancora costrette ad aspettare il loro turno. Il presidente dell’Autorità che gestisce il Canale (Sca), Osama Rabie, ha ammesso che non è ancora possibile indicare una data per la ripresa del traffico.
Novità emergono invece su quando accaduto martedì scorso. Il vento e la tempesta di sabbia, che avrebbero ridotto la visibilità nel Canale, «non sono stati i motivi principali dell’incidente» e non si può escludere che «un errore tecnico e umano possa aver contribuito all’incaglio», ha affermato Rabie. Ulteriori rivelazioni, ha promesso ai media, arriveranno a seguito delle indagini in corso.
Il capo delle autorità ha poi spiegato come, sfortunatamente, il blocco si sia verificato nell’ingresso meridionale del canale più vecchio. «Se l’incidente fosse avvenuto nel nuovo canale (quello nato dai lavori di ampliamento del 2015, ndr) sarebbe stato risolto più facilmente». La Ever Given, con i suoi 400 metri di lunghezza (pari a quattro campi da calcio) e 59 di larghezza, aveva già attraversato più volte il passaggio senza riscontrare alcun problema di sorta.
Se i tempi restano ancora incerti, le operazioni di salvataggio procedono serrate. Grazie al lavoro di escavatori e draghe, capaci di rimuovere migliaia di metri cubi di sabbia, il timone e l’elica della Ever Given hanno ripreso a funzionare e la poppa si è leggermente mossa. Si può passare dunque alla fase successiva, quella legata allo spostamento del gigante marittimo affidata all’azione di 14 potenti rimorchiatori. La speranza è ancora quella «di non dover essere costretti all’alleggerimento del carico», manovra che allungherebbe i tempi ma che diventerebbe inevitabile se gli attuali sforzi non dovessero dare i frutti sperati.
Le preoccupazioni dell’Egitto, espresse ancora da Rabie, sono relative alla possibile perdita di clienti. alcuni già diretti verso il Capo di Buona Speranza. «Non vogliamo che accada per cui, non appena avremo liberato il Canale, lavoreremo 24 ore su 24 per aiutare le navi rimaste bloccate» stimando una perdita di 12-14 milioni di dollari al giorno per il Paese africano. Poi ha ringraziato Stati Uniti, Cina, Emirati Arabi Uniti e tutti i Paesi che hanno offerto il loro aiuto nelle operazioni di salvataggio.
Dopo cinque giorni di attesa, inoltre, iniziano ad affiorare i primi problemi anche tra le navi in attesa davanti al Canale. Almeno una ventina sono adibite al trasporto bestiame e il benessere degli animali potrebbe essere messo in crisi dal protrarsi dell’interruzione. «La mia più grande paura è che gli animali finiscano il cibo e l’acqua e rimangano bloccati sulle navi perchè non possono essere scaricati da qualche altra parte per motivi burocratici», ha dichiarato Gerit Weidinger, coordinatrice per l’Europa di Animals International, al Guardian. «Il rischio - aggiunge Weidinger - è che possano morire di fame, disidratazione, ferite e per l’accumulo di rifiuti che impedisce loro di sdraiarsi». Senza contare che l’equipaggio «non può nemmeno liberarsi dei corpi degli animali morti nel canale di Suez». Se la situazione non dovesse sbloccarsi «potremmo trovarci davanti a una possibile bomba a orologeria a rischio biologico per gli animali, l’equipaggio e qualsiasi altra persona coinvolta», ha avvertito.
E’ invece troppo presto per parlare dei possibili risarcimenti e delle multe che potrebbero riguardare l’armatore giapponese dell’Ever Given anche se, le Autorità di Suez, fanno sapere che «saranno effettuati in conformità alle leggi e conseguenti ai risultati delle indagini in corso».
La nave cargo è assicurata per 3,1 miliardi di dollari, una somma enorme che potrebbe però rivelarsi insufficiente a coprire le richieste che potrebbero arrivare dagli armatori delle 200 imbarcazioni rimaste ferme e dai proprietari dei rispettivi carichi. E’ quanto hanno riferito al Wall Street Journal fonti del programma assicurativo della Shoei Kisen Kaisha, la compagnia che possiede la nave.
Se il transito attraverso il canale non verrà ripristinato in fretta, sottolinea il quotidiano statunitense, l’effetto domino toccherà presto i destinatari delle forniture, dalle fabbriche che attendono materiale per le catene di montaggio ai distributori che non riusciranno a riempire alcuni scaffali. In un’autentica tempesta perfetta per il settore assicurativo, gli armatori delle navi bloccate potrebbero inoltre chiedere presto i danni per le mancate consegne che avevano in programma una volta portati a destinazione i carichi bloccati. Infine, molti dei soggetti coinvolti non batteranno cassa solo presso la Ever Given ma, come ovvio, anche presso le compagnie di assicurazione tramite le quali sono protetti da simili evenienze. Sul conto da pagare non si fanno nemmeno congetture, quindi. L’unica cosa certa è che la cifra cresce di ora in ora.
Il blocco frena l'export del "made in Italy" in Cina
Gli effetti del blocco colpiranno anche il nostro Paese. A guardare «l'orticello» italiano è Coldiretti che nella sua analisi afferma come in difficoltà siano tutti i principali prodotti alimentari nazionali confezionati e trasportati via nave, dal vino all’olio extravergine. Ma sono bloccati anche gli arrivi dei fusti di quasi 70 milioni di chili di concentrato di pomodoro cinese che lo scorso anno sono sbarcati in Italia. «Una situazione delicata», commenta la confederazione, «che arriva proprio in un momento di ripresa delle spedizioni Made in Italy verso il gigante asiatico con una crescita del 19,4% dell’export alimentare a gennaio 2021».
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