Gb chiude il caso, Assange verso l'estradizione negli Usa. La sua parabola: da Wikileaks al carcere
La giustizia britannica ha chiuso l'ultima porta alle speranze di Julian Assange di sfuggire alla vendetta americana. E ha confermato la sentenza d’appello favorevole all’estradizione oltre oceano del cofondatore di WikiLeaks, che a questo punto potrebbe essere questione di poche settimane salvo colpi di coda o sorprese procedurali clamorose. Per il 50enne attivista australiano (inseguito da oltre un decennio dalle autorità Usa per aver contribuito alla diffusione dal 2010-2011 di una montagna di file classificati sottratti agli archivi Usa, Pentagono incluso, e a svelare prove di crimini di guerra commessi tra Afghanistan e Iraq) si è trattato dell’epilogo più prevedibile. La Corte Suprema del Regno, a cui i suoi avvocati erano stati autorizzati a rivolgersi con un’istanza da ultima chance a gennaio, si è infatti rifiutata di riesaminare il caso, liquidando come insussistenti «i punti di diritto» invocati dalla difesa per una revisione del verdetto di secondo grado: quello col quale i magistrati d’appello avevano ribaltato a dicembre il no all’estradizione opposto in prima istanza dalla giudice Vanessa Baraister sulla base delle condizioni di salute e psichiche di Assange - che ha trascorso sette anni da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi altri tre nel penitenziario di massima sicurezza londinese del Belmarsh in attesa di giudizio, malgrado nel frattempo fossero cadute le controverse accuse di stupro presentate in parallelo nei suoi confronti dalla magistratura svedese - e di una perizia che lo indicava a rischio di suicidio se lasciato ai rigori della giustizia statunitense. A questo punto il dossier è destinato a tornare sul tavolo di Baraister, che non potrà fare altro se non prendere atto della decisione finale e trasferire le carte al ministro dell’Interno per il necessario placet politico (scontato da parte della titolare attuale dell’Home Office nel governo di Boris Johnson, Priti Patel) all’esecuzione del contestatissimo provvedimento d’estradizione al grande alleato di Washington: entro un termine di 28 giorni che scatterà anche laddove gli avvocati difensori tentassero di rivolgersi a una Corte internazionale. Il tutto, in barba alle denunce di sostenitori, attivisti dei diritti umani legati all’Onu e associazioni come Amnesty International o Reporters Sans Frontiers contro quella che da tempo viene additata come una forma di persecuzione, oltre che di minaccia alla libertà d’informazione in sé: tanto più se si considera che i file 'incriminatì di WikiLeaks furono resi pubblici attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche dell’Occidente. In sostanza la svolta di oggi segna dunque il destino dell’ex primula rossa australiana, forse per sempre. In un contesto internazionale da nuova guerra fredda con la Russia, innescata dall’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, che per una voce giudicata ormai da tempo 'anti-occidentalè come Assange, potrebbe rivelarsi una sorta di colpo di grazia. A sua tutela - fra le perplessità e le proteste di chi lo difende - restano solo le rassicurazioni date dalle autorità americane alla Corte d’Appello britannica, impegnatesi sulla carta - per allontanare il timore del suicidio - a evitargli la detenzione in isolamento in un carcere duro e a prospettare una condanna inferiore al massimo. Negli Usa, dove gli si dà la caccia da oltre un decennio, Julian - che quasi come l’ultimo desiderio di un condannato a morte è stato appena autorizzato a sposarsi il 23 marzo nella prigione di Belmarsh con l’avvocato sudafricana Stella Morris, la compagna che gli ha dato due figli durante il periodo d’asilo nell’ambasciata ecuadoriana - rischia in ogni modo grosso. In teoria fino a una potenziale pena monstre pari a 175 anni di galera, dato che gli viene imputato non solo il presunto reato di complicità nell’hackeraggio dell’archivio del Pentagono, bensì persino un’accusa di violazione della legge sullo spionaggio (l'Espionage Act del 1917): del tutto inedita nella storia americana moderna per una vicenda di diffusione di documenti riservati, o anche top secret, sui media.
LE ORIGINI DI WIKILEAKS
Registrato nel 2006, Wikileaks inizia la sua attività l’anno dopo. Assange garantisce alle sue fonti la massima protezione informatica possibile e il sito inizia a pubblicare informazioni riservate e documenti segreti che mettono in imbarazzo i governi di mezzo mondo. Nei dieci milioni di 'leak' diffusi dal sito, che collabora con dissidenti da ogni angolo del pianeta, verranno messe in luce la repressione cinese della rivolta tibetana, le purghe contro l’opposizione in Turchia, la corruzione nei Paesi arabi, le esecuzioni sommarie compiute dalla polizia keniota. Il principale bersaglio di Assange sono però gli Stati Uniti. La prima volta che Wikileaks cattura l’attenzione della stampa internazionale è nel 2007, quando viene pubblicato il manuale per le guardie carcerarie di Guantanamo. La semplice pubblicazione dei documenti però non basta. L’internauta medio non ha il tempo nè gli strumenti per orientarsi tra migliaia di file. Serve qualcuno che separi il grano dal loglio. E questo lo sanno fare solo i giornalisti.
LA PRIMA CONDANNA E L’OFFENSIVA LEGALE USA
Il 14 aprile 2019 la legale e compagna di Assange, Stella Morris, assicura che il suo cliente è disposto a cooperare con le autorità svedesi purchè sia scongiurato il rischio di estradizione in Usa. Il 1 maggio l’australiano viene però condannato a 50 settimane di prigione da un tribunale di Londra per aver violato le condizioni della libertà vigilata rifugiandosi nell’ambasciata dell’Ecuador. Anche una volta scontata la condanna, Assange sarebbe rimasto in custodia nel penitenziario, in attesa del verdetto sull'estradizione. Poco dopo parte l’offensiva del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che il 23 maggio aggiunge 17 capi d’accusa a quello già spiccato per pirateria informatica, in virtù delle leggi antispionaggio. Accusato di aver messo in pericolo la vita di agenti e soldati Usa, ora Assange rischia 175 anni di prigione. Il 31 maggio interviene l’Onu, con il relatore speciale sulla tortura, Nils Melzer, che visita il fondatore di Wikileaks in carcere e afferma che le sue condizioni presentano «tutti i sintomi della tortura psicologica» e che la sua vita è in pericolo». Un’impressione che appare confermata il 21 ottobre, quando Assange si presenta in tribunale confuso e balbettante. Il 4 gennaio 2021 il verdetto: Assange resta nel Regno Unito perchè, se estradato in Usa, potrebbe togliersi la vita. La settimana successiva la stessa giudice nega la concessione della libertà vigilata. Il dipartimento di Giustizia Usa presenta appello contro il no all’estradizione e, il 10 dicembre 2021, l’Alta Corte di Londra gli dà ragione, ritendendo sufficienti le garanzie di Washington sulle cure adeguate che Assange riceverebbe negli Stati Uniti a tutela della sua salute mentale. Lo stesso tribunale avrebbe riaperto i giochi il 24 gennaio consentende il ricorso presso la Corte Suprema, che non ha però rilevato «nessuna questione di diritto che fosse possibile discutere». Che le chance di successo fossero però bassissime lo sapevano anche i legali di Assange. Perchè l’intera vicenda ha un valore molto più politico che giuridico. E, se Patel dirà sì all’estradizione, le autorità americane dovranno prepararsi a una grande mobilitazione dell’opinione pubblica.
LE ACCUSE DI STUPRO
Il "cablegate" rende Assange un’icona internazionale della libertà d’espressione e la bestia nera delle autorità. Il programmatore australiano è nel mirino di molti governi e negli Usa c'è chi ritiene collabori con i russi, un sospetto che sarà rafforzato nel 2013, quando suggerirà a Edward Snowden di rifugiarsi a Mosca, consiglio che la talpa dell’Nsa seguirà. E' proprio alla fine del 2010 che iniziano i guai di Assange con la legge, e non per la pubblicazione di segreti di Stato. Il 18 novembre la magistratura svedese lancia un mandato di cattura europeo contro il fondatore di Wikileaks, denunciato per stupro da due donne svedesi per fatti avvenuti nell’agosto 2010. Assange, allora a Londra, replica di aver avuto rapporti consenzienti con le accusatrici e si consegna alla polizia britannica il 7 dicembre. L’attivista è detenuto per nove giorni e in seguito gli vengono concessi prima i domiciliari e poi la libertà vigilata. Nel febbraio 2011 la procedura per l’estradizione in Svezia viene sottoposta a un tribunale londinese. L’australiano teme che dalla Svezia possa essere estradato negli Stati Uniti e lì condannato a morte. Il 19 giugno 2012 Assange decide di rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana.
SETTE ANNI CHIUSO IN AMBASCIATA
Assange chiede asilo politico all’allora presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che glielo concede ad agosto. Correa chiede inoltre, senza successo, alle autorità britanniche che conceda un salvacondotto al suo ospite perchè possa trasferirsi a Quito. In questo periodo l’attività di Assange non si ferma. Nel 2016 Wikileaks rivela come i dirigenti del Partito Democratico Usa avessero tramato contro il popolare candidato della sinistra, Bernie Sanders, perchè Hillary Clinton vincesse le primarie. Il 2 aprile 2019 il nuovo presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, accusa Assange di aver violato le condizioni per l’asilo politico. L’11 aprile la polizia britannica ottiene il permesso di entrare nell’ambasciata per portare via Assange, che il giorno dopo viene privato della cittadinanza ecuadoriana che Correa gli aveva intanto concesso. La difesa delle donne che lo avevano accusato di stupro ottiene una riapertura dell’indagine, che era stato intanto archiviata.
LA SVEZIA RITIRA LE ACCUSE, ASSANGE RESTA IN CARCERE IN GB
Il 19 novembre 2019 arriva la prima buona notizia: la magistratura svedese ha abbandonato l’indagine per violenza sessuale per mancanza di prove. Assange deve però terminare di scontare la pena in Gran Bretagna e sulla sua testa pende la spada di Damocle dell’estradizione. Il 24 febbraio 2020, la giustizia britannica inizia a esaminare la richiesta presentata dagli Stati Uniti. Mentre il cammino della procedura viene rallentato dalla pandemia, cresce la mobilitazione internazionale a favore di Assange, con decine di Ong che a luglio ne chiedono la liberazione «immediata». Gli avvocati di Assange affermano che la richiesta di estradizione ha motivazioni politiche. L’udienza viene aggiornata al 7 settembre e il 25 settembre la giudice Vanessa Baraitser, della corte penale londinese di Old Bailey, acconsente a concedere più tempo alla difesa per preparare la sua documentazione.
L’IRAQ, IL "CABLEGATE" E CHELSEA MANNING
A luglio 70 mila documenti confidenziali sulle operazioni della coalizione internazionale in Afghanistan vedono la luce grazie al lavoro congiunto di Wikileaks e alcune delle più prestigiose testate mondiali: il New York Times, il Guardian, Der Spiegel, Le Monde ed El Pais. Un modello di collaborazione internazionale destinato a restare (un esempio su tutti, il caso dei 'Panama Papers'). A ottobre è il turno di 400 mila carte riservate sull'invasione dell’Iraq, dalle quali emergono le violenze delle truppe americane nei confronti dei civili. Il mese dopo vengono pubblicati 250 mila cablogrammi diplomatici Usa dai quali emergono giudizi spesso poco lusinghieri sui partner di Washington. Ad aver reso possibile la colossale fuga di notizie è un militare statunitense, Bradley Manning ( Chelsea Manning, dopo l’operazione per cambiare sesso), che gira ad Assange 700 mila documenti classificati. Condannata a 35 anni, Manning sarebbe poi uscita di prigione il 17 maggio 2017, dopo che l’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva commutato la sua pena. (AGI)