Sabato 23 Novembre 2024

Non c'è solo la guerra in Ucraina. Ecco dove si combatte ancora nel mondo FOTO

Afghanistan
Yemen
Etiopia
La grafica del sito Statista

Nel 2021 la comunità internazionale non è riuscita ad affrontare il moltiplicarsi di gravi conflitti che ha generato ulteriori instabilità e devastazioni di cui milioni di civili nel mondo hanno pagato il prezzo più alto. E’ cupo lo scenario globale analizzato nel Rapporto 2021-2022 di Amnesty International, documentando come nel contesto della pandemia di Covid-19 a contagiare il mondo siano stati anche conflitti armati, con conseguente violazione del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani. Di questa mappa dei conflitti nuovi e irrisolti, scoppiati o proseguiti, fanno parte Afghanistan, Myanmar, Yemen, Burkina Faso, Libia, Israele e Territori palestinesi, Siria.

Le quattro crisi maggiori: dal Myanmar all'Afghanistan

Tra le quattro crisi che maggiormente preoccupano Amnesty International ci sono i due colpi di stato perpetrati in Asia, indietreggiata in materia di diritti umani. In Myanmar 1700 manifestanti sono stati uccisi e i conflitti interetnici sono ripresi da quando la giunta militare ha ripreso il potere con un golpe, nel febbraio 2021, macchiandosi di crimini contro l’umanità. L’opposizione politica birmana è stata ridotta al silenzio e contro l’ex leader Aung San Suu Kyi vengono celebrati «processi fabbricati». In Afghanistan lo scorso agosto i talebani sono tornati al potere e da allora «è caccia all’uomo e soprattutto alla donna, a chi per 20 anni ha lottato in difesa dei diritti, con blogger, giornalisti, attivisti inseriti nella lista nera: un vero ritorno al medioevo» ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. Rimanendo sul continente asiatico l’Ong cita il «deserto dei diritti umani a Hong Kong», dove ha dovuto chiedere la sezione aperta da 30 anni, e in Cina l’internamento dei musulmani nello Xinjiang.

La guerra in Etiopia

Spostandosi in Africa, Amnesty ha citato la guerra in Etiopia, nel Tigray, la violenza inaudita dei gruppi armati tigrini sulle donne e ragazze della regione Amhara, con il ricorso allo stupro come arma di guerra e vendetta, oltre all’incursione delle forze armate dell’Eritrea e alle 5 milioni di persone affamate senza che gli aiuti riescano a raggiungerle. Guardando al 2022, l’attenzione è rivolta al Sahel dove la crisi si sta ampliando al livello geografico per la minaccia combinata dei gruppi armati jihadisti, la debolezza o l’assenza di Stato, la presenza di forze straniere oltre che di paramilitari del gruppo russo Wagner, in un contesto di siccità e scarso accesso a cibo e vaccini. Per parte dell’Africa c'è anche da temere una crisi alimentare di grande entità come conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina, due Paesi 'granai del continente. In questa prospettiva Amnesty teme misure repressive da parte di alcuni governi, Tunisia in primis, per arginare possibili crisi del pane, oltre ad una diffusa carestia e malnutrizione.

In Egitto 60mila prigionieri d'opinione

In Medio Oriente l’attenzione dei difensori dei diritti umani è focalizzata sulla drammatica situazione in Egitto, dove sono 60 mila i prigionieri di opinione, oltre alla vicenda giudiziaria di Patrick Zaky. Israele, che prosegue la sua politica di espansione degli insediamenti illegali, è sotto accusa per il crimine di apartheid contro i palestinesi. Particolarmente critica la situazione dei diritti umani in Iran, dove la detenzione di cittadini europei viene utilizzata a scopo diplomatico e per trarre altri vantaggi. Iran, Egitto, Arabia saudita sono i Paesi che totalizzano il maggior numero di condanne a morte. Ancora una volta, l’America latina si conferma come la regione più pericolosa del mondo, con in tutto 252 difensori uccisi, di cui 138 solo in Colombia. In Messico oltre mille femminicidi sono stati denunciati mente l’America latina è particolarmente pericolosa per i transgender: delle 235 persone Lgbti uccise nel mondo, 80 lo sono state in Brasile. Sia Cuba che il Nicaragua sono stati teatri di ingenti proteste represse con violenza e con decine di arresti arbitrari e condanne ad oppositori. In Europa centro-orientale, Amnesty International ha deplorato la repressione sempre più dura in atto in Russia ai danni di oppositori, giornalisti e società civile, ridotta al silenzio. In Bielorussia, invece, «più che une repressione di stato siamo di fronte ad un’impresa criminale» in atto dopo l’elezione contestata di Aleksandr Lukashenko, - presidente bielorusso fedelissimo di Putin - con più di mille prigionieri di coscienza. La Bielorussia è messa all’indice anche per aver orchestrato un immenso traffico di esseri umani in provenienza da Afghanistan, Iraq e altri Paesi, e per la vicenda dei migranti bloccati al confine con la Polonia in condizioni disumane e in palese violazione dei diritti umani. «Questa è stata una delle pagine più buie della storia recente dei diritti umani sul nostro continente» ha deplorato Amnesty International. «In ben pochi casi la necessaria risposta internazionale è arrivata nè ci sono stati accertamenti di responsabilità e giustizia. I conflitti si sono allargati e il loro impatto è peggiorato. Il numero e la diversità degli attori in campo sono aumentati. Si sono aperti nuovi scenari di guerra, sono state sperimentate nuove armi. Il valore della vita umana si è abbassato. La stabilità globale si è avvicinata all’abisso» ha concluso la Segretaria di Amnesty International, Agnès Callamard.

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