Salvare la faccia a Vladimir Putin mai. Volodymyr Zelensky è categorico nel suo messaggio all’Occidente, respingendo il pressing di chi lo vorrebbe a tutti i costi al tavolo dei negoziati, anche accettando pesanti condizioni da parte di Mosca. Ma non è questo ciò che vuole un intero Paese piombato nell’inferno della guerra, e a cui l'invasore russo giorno dopo giorno continua a infliggere ferite sempre più difficili da rimarginare. Un comune sentire che l’ex comico, divenuto simbolo della lotta per la libertà, non può che fare suo. E intervenendo a Porta a Porta, nella prima intervista concessa a una tv italiana, il presidente ucraino sembra non lasciare spazio a fraintendimenti. «Sono pronto a parlare con Putin, ma senza ultimatum». E prima «i russi se ne devono andare dai territori occupati dopo il 24 febbraio, è il primo passo per poter parlare di qualcosa. Non possiamo accettare alcun compromesso sulla nostra indipendenza, sulla nostra sovranità e integrità territoriale». La sfida allo zar è lanciata, ma l’obiettivo di Zelensky è che le sue parole arrivino forti e chiare ben oltre il Cremlino, tra le mura di diverse cancellerie europee tentate sempre più da una politica della mano tesa verso Putin. Emmanuel Macron in questi giorni ha invitato a «non umiliare» il presidente russo se si vuole davvero sperare nella pace. E non è forse un caso che il monito di Zelensky parta dall’Italia, dove una parte delle forze politiche che sostengono il governo frena sulla linea dura contro Mosca. «Alcuni leader europei dicono che bisogna trovare una strada verso Putin. Ma noi non dobbiamo cercare una via d’uscita per la Russia», è l’avvertimento del presidente ucraino: «So che Putin voleva portare a casa qualche risultato e che non lo ha trovato. Ma proporre a noi di cedere qualcosa per salvare la faccia del presidente russo non è corretto. Noi - assicura - non siamo pronti a salvare la faccia a qualcuno pagando con i nostri territori, non penso sia una cosa giusta». Dunque «i russi se ne devono andare, devono uscire dai nostri territori. Dobbiamo liberare i nostri villaggi, le nostre case, ci devono restituire quello che hanno saccheggiato e devono rispondere per quello che stanno facendo». Nel suo sguardo l’orgoglio di una nazione offesa, violata, di un popolo la cui vita è stata stravolta e a cui si vogliono strappare la terra, la lingua, le tradizioni. Il leader di Kiev, parlando dal suo bunker e indossando l’ormai iconica maglietta verde militare, smentisce anche la presunta disponibilità a cedere sulla Crimea pur di porre fine al conflitto: «Non ho mai parlato del riconoscimento della sua indipendenza, non la riconosceremo mai come parte della Federazione russa». Ma per il momento - l’unico reale segnale di apertura di Zelensky - la questione può essere accantonata, se questo può aiutare il dialogo. «Anche prima della guerra la Crimea aveva autonomia, ma è sempre stato territorio ucraino. Noi - chiarisce il suo pensiero - abbiamo detto che siamo pronti a parlare con la Russia, ma ora non possiamo deliberare una decisione sulla Crimea perché c'è la guerra. La lasciamo da parte se ostacola il dialogo». Il presidente ucraino, rispondendo a Bruno Vespa, ringrazia quindi il nostro Paese: «Sono molto grato a Mario Draghi e felice che l’Italia abbia adottato le sanzioni europee. Credo che questi passi siano stati molto forti». Zelensky mostra di aver gradito soprattutto le parole del presidente del Consiglio secondo cui la Russia non è più un Golia invincibile: «Ha ragione. Le forze armate russe sono quattro volte più grandi, il loro Stato è otto volte più grande, ma noi siamo dieci volte più forti come persone perché siamo sulla nostra terra» e «il mondo è unito intorno a noi, non siamo soli». Un grazie anche a papa Francesco ma - osserva Zelensky con la solita schiettezza - «non abbiamo potuto accettare quando ha fatto vedere due persone che portavano le due bandiere, quella russa e quella ucraina. Quella russa è la bandiera sotto la quale ci stanno uccidendo, cercate di capirlo».