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Zelensky: "A Severodonetsk si decide il destino del Donbass". Il rabbino di Mosca fugge nella notte

«Secondo i risultati di questa giornata, il 105° giorno di guerra su vasta scala, Severodonetsk rimane l’epicentro dello scontro nel Donbass. Difendiamo le nostre posizioni e infliggiamo perdite significative al nemico. Questa è una battaglia molto feroce, molto difficile. Probabilmente una delle più difficili di questa guerra. Sono grato a tutti coloro che ci difendono in questa direzione. Per molti aspetti, il destino del Donbass viene deciso lì». Così il presidente ucraino Volodymir Zelensky in un discorso serale.

I combattimenti nei dintorni di Severodonetsk proseguono «ferocemente» ma gli ucraini sono sempre più in difficoltà, e tra le autorità locali si inizia a evocare la possibilità del ritiro dall’ultimo grande avamposto del Lugansk. I raid russi del resto sono proseguiti in modo incessante in tutto il Donbass, e le bombe sono cadute ancora una volta su edifici civili, come una scuola e due ospedali. Nonostante ci fosse una croce rossa in evidenza sul tetto. La "liberazione" di Severedonetsk, annunciata ieri dal ministro della Difesa russo Serghei Shoigu, non ha spento gli echi della guerra in una città ridotta ad uno scheletro, e non a caso ribattezzata la nuova Mariupol. «Le nostre forze controllano solo la periferia», ha ammesso il governatore ucraino Sergyi Gaidai, pur assicurando che «continuiamo a difenderci, combattendo per ogni centimetro, e «che nessuno si arrenderà». La situazione sul campo tuttavia è molto difficile, perché i russi «bombardano 24 ore su 24», tanto che lo stesso Gaidai non ha escluso un «ritiro verso zone più fortificate», in attesa di ritornare alla controffensiva in una fase successiva. Nel frattempo è ancora incerta la sorte per i circa 800 civili che si sono rifugiati nella fabbrica chimica della città, la Azot.

Tra loro, ha riferito la compagnia che gestisce l'impianto, ci sono 200 dipendenti e circa 600 cittadini. Secondo i separatisti che combattono al fianco dei russi, gli ucraini controllano solo una piccola parte della fabbrica. E tra l'altro sono anche stati cacciati dall’aeroporto. Su questo fronte i russi stanno impiegando enormi risorse per bloccare la strada che collega Severodonetsk e la vicina Lysychansk a Bakhmut, più a ovest. Per chiudere i rifornimenti agli ucraini e concentrarsi sull'offensiva per strappare a Kiev gli ultimi centri del Lugansk. La tecnica adottata è sempre quella della «terra bruciata» con raid a tappeto, hanno denunciato le autorità locali. Proprio Lysychansk è "completamente distrutta», ha affermato Gaidai, affermando che i russi prendono di mira «deliberatamente» ospedali e centri di distribuzione degli aiuti umanitari. Immagini satellitari diffuse dalla Cnn hanno effettivamente mostrato la distruzione di due ospedali nella regione, nonostante una grande croce rossa dipinta sul tetto di una delle strutture, proprio per scongiurare un bombardamento. Strutture civili sono state colpite anche nell’oblast di Donetsk: in particolare un edificio amministrativo e una scuola, che è stata «completamente distrutta», ha fatto sapere il ministero dell’Interno ucraino, aggiungendo che ci sarebbero vittime. In questa metà del Donbass l’Armata sta concentrando un’imponente potenza di fuoco per avvicinarsi sempre più al suo prossimo obiettivo, Sloviansk: la città conquistata dai filo-russi durante la secessione del 2014 e poi tornata sotto l'ombrello di Kiev dopo pochi mesi. A sud non si registrano cambiamenti significativi. Gli ucraini hanno continuano a contrattaccare nella regione di Kherson, ottenendo qualche piccolo successo, mentre nelle zone controllate dai russi dell’oblast di Zaporizhzhia si inizia valutare l’ipotesi di indire un referendum per unirsi a Mosca. Per Kiev, al contrario, ogni referendum tenuto sotto l'occupazione sarebbe ovviamente illegale. Gli unici segnali di distensione tra le due parti fino a questo momento si sono visti con lo scambio di prigionieri e dei corpi delle vittime. Kiev ha confermato che 50 soldati ucraini rimasti uccisi nel conflitto sono stati consegnati dai russi. 37 erano morti nell’acciaieria di Mariupol. Mentre invece mille combattenti che avevano difeso Azovstal sono stati trasferiti in Russia: il loro destino è incerto, e rischiano una condanna durissima. Persino la pena di morte.

 

Kiev, Severodonetsk 'in gran parte' sotto controllo russo

Severodonetsk è «in gran parte» sotto il controllo russo e «enormi distruzioni» ci sono a Lysychansk. E’ il bilancio del governatore ucraino Sergey Gaidai sui combattimenti nelle due principali città del Lugansk, dove da giorni sono in corso cruenti combattimenti per strada.

Kiev: con la Russia scambio delle salme di 50 soldati

Scambio di salme tra Ucraina e Russia: lo ha confermato Kiev, precisando che sono stati scambiati i cadaveri di 50 soldati uccisi nei combattimenti. La restituzione delle salme è avvenuta sulla linea del fronte nella regione sud-orientale di Zaporizhzhia. Tra i cadaveri, ci sono anche quelli di 37 soldati ucraini uccisi nell’assedio della fabbrica Azovstal a Mariupol.

Possibile ripresa dei negoziati Russia-Ucraina

C'è la possibilità di una ripresa del negoziato tra Russia e Ucraina per arrivare al cessate il fuoco. Lo ha fatto sapere il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, come riporta Anadolu, durante una conferenza stampa congiunta ad Ankara con l’omologo russo Serghei Lavrov.

Il rabbino capo di Mosca fuggito dalla Russia

Il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, è fuggito dalla Russia. Lo ha reso noto la nuora, la giornalista newyorkese Avital Chizhik-Goldschmidt, moglie di uno dei figli del rabbino. L’esponente religioso sarebbe stato «messo sotto pressione dalle autorità» per sostenere l’invasione russa dell’Ucraina. Il rabbino e sua moglie Dara «si sono rifiutati» di sostenere la guerra. «Sono volati in Ungheria due settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ora - scrive la giornalista su Twitter - sono in esilio dalla comunità che hanno amato e costruito e in cui hanno cresciuto i loro figli per oltre 33 anni. Il dolore e la paura nel nostro famiglia negli ultimi mesi è al di là delle parole». Il rabbino Goldschmidt è anche presidente della Conferenza dei rabbini europei.

 

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