«Donne, vita, libertà» e "Abbasso il dittatore». Slogan infuocati riecheggiano in diverse città dell’Iran, in un grido unanime di protesta per la morte di Mahsa Amini dopo tre giorni di coma per i maltrattamenti subiti dalla polizia morale che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo. Il paese è in fiamme. Strade, università, bazar, perfino le stazioni della metropolitana sono oramai diventati i nuovi luoghi simbolo delle manifestazioni che si moltiplicano e si diffondono a macchia d’olio in tutto il Paese, con un amaro bilancio di almeno otto manifestanti uccisi, 450 feriti e cinquecento arresti, secondo Hengaw Organization for Human Rights, un’organizzazione registrata in Norvegia che monitora le violazioni dei diritti umani in Iran.
Cortei dove non sono mancati anche i gesti estremi e dimostrativi delle donne: molte si sono tolte l’hijab e lo hanno bruciato per protestare contro la legge sul velo. Altre hanno tagliato i capelli postando i video sui social. Duro il monito del presidente Joe Biden che dal palco dell’assemblea Onu ha affermato che gli Usa sono «al fianco delle coraggiose donne iraniane». Diverso, invece, il tono pronunciato sempre al Palazzo di vetro dal presidente iraniano Ebrahim Raisi che ha accusato l’Occidente di avere «doppi standard» sui diritti, in particolare quelli delle donne. Secco il ministro degli Esteri britannico James Cleverly che ha invitato le autorità della Repubblica islamica ad aprire gli occhi di fronte a quanto sta accadendo nel loro Paese.
«I leader iraniani dovrebbero notare che la popolazione non è soddisfatta della direzione che hanno preso. C'è un’altra strada che potrebbero prendere», ha affermato in un’intervista all’Afp. Dalla morte di Amini, venerdì scorso, i manifestanti hanno continuato a protestare per la quinta notte consecutiva, bloccando il traffico, incendiando cassonetti e veicoli della polizia, oltre a scandire slogan antigovernativi contro il sistema e la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. Un clima di forte tensione al quale le forze dell’ordine hanno risposto usando il pugno di ferro, con l’ausilio di cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e colpi di arma da fuoco, accusando gli "antirivoluzionari», tra cui i «gruppi separatisti curdi» di essere dietro l’uccisione di alcuni manifestanti. «Ho partecipato ai raduni, perché mi ricordo le vessazioni che da adolescente ho subito quando la polizia ci fermava per strada solo per aver calzato delle scarpe rosse o per avere indossato male l’hijab» ha raccontato all’ANSA Mahvash, una donna di 55 anni.
«Non voglio che mia figlia soffra lo stesso», si è augurata. Zeinab, 23 anni, studentessa universitaria, ha invece difeso il velo poiché proviene da una famiglia religiosa, ma ha insistito sul fatto che tutti siano lasciati liberi di scegliere il proprio stile nell’abbigliamento. «Il linguaggio della forza non funzionerà mai e in questo caso porterà solo all’odio dei giovani per l’Islam», ha avvertito. Intanto l’hashtag persiano #MahsaAmini ha raggiunto oltre 3 milioni di menzioni su Twitter, mentre la magistratura iraniana ha annunciato la creazione di una commissione di inchiesta sulla morte di Amini.
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