"La nostra gente ci ha dato fiducia ancora una volta". Lo ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo avere vinto con il 52% le elezioni presidenziali oggi al ballottaggio contro lo sfidante Kemal Kilicdaroglu. «Solo la Turchia ha vinto oggi», ha detto Erdogan parlando davanti a una folla a Kisikli, sulla sponda anatolica di Istanbul. Un Paese spaccato in due con un solo uomo al comando. E’ questo il quadro che emerge dal ballottaggio di oggi in Turchia, il primo nella storia di un Paese che ancora una volta ha dato fiducia all’uomo che, prima da premier e poi da presidente ha imposto la propria figura, leadership e linea politica per 20 anni ed è destinato a rimanere al potere fino al 2028. Numeri che lasciano indietro l’indimenticato padre della Turchia laica, secolare e repubblicana, Mustafa Kemal Ataturk. Un sorpasso di cui il popolo turco è consapevole e proprio per questo la fiducia riposta nel presidente in carica assume un valore ancora maggiore. Eppure Erdogan fino alle elezioni del 2015 ha governato da solo con il suo partito Akp, da allora in poi in coalizione e fino a oggi ha continuato a perdere consenso, senza tuttavia che questa perdita fosse sufficiente a porre fine al suo impero. La fiducia in Erdogan, il timore di metà della popolazione di ritrovarsi senza una guida in un Paese in perenne emergenza sono state le chiavi della vittoria, ieri e oggi. Fiducia e timore che hanno prevalso al fotofinish sulla voglia di cambiamento di cui si è fatto carico lo sfidante, Kemal Kilicdaroglu a cui non sono bastati l’inflazione, l’economia a pezzi e la carta nazionalista e anti migranti per detronizzare un leader che, nel bene e nel male, ha segnato per sempre la storia di questo Paese. Anche la crisi economica, la perdita di valore della lira turca, il caro vita, problemi arrivati alla pancia del Paese si sono tramutati in una perdita di voti non sufficiente a farlo perdere, perchè nella maggior parte della popolazione è rimasta forte la percezione che nessuno meglio di lui possa risolvere i problemi. Al termine di una campagna elettorale di basso profilo, caratterizzata da un inaspettato equilibrio nei manifesti e nello spreco di volantini Erdogan si riconferma nel nome della continuità. Continuità che in questi 20 anni ha permesso alla parte centro orientale della Turchia uno sviluppo infrastrutturale che ha toccato le corde di una popolazione sentitasi messa da parte per decenni, vilipesa dalla costa laica, secolare ed europea che infatti a Erdogan ha sempre voltato le spalle, senza eccezioni, dal 2002 a oggi. Continuità che si è palesata nella politica estera. Non che l’elettorato di Erdogan sia composto da esperti di politica internazionale, tutt'altro, ma in un Paese con il trauma dell’ingerenza esterna, in un Paese che vive l’incubo perenne di essere la marionetta degli USA, un presidente capace di tenere in scacco la NATO, dire di no alla Casa Bianca, far valere le proprie ragioni arrivando a sbattere i pugni sul tavolo dinanzi ai leader europei e ringhiare in faccia alla Grecia per rimediare alle ferite mai rimarginate della perdita delle isole dell’Egeo piace e vince. Questa è la politica seguita negli ultimi 20 anni, con un’attenzione particolare alla lotta al terrorismo. Tolleranza zero nei confronti dei separatisti curdi del Pkk e allo stesso tempo attenzione, riconoscimento e rappresentanza per i curdi. E non a caso l’Akp del presidente di conferma il secondo più votato nel sud est a maggioranza curda. Anche questo un successo costruito contro il Chp, il partito dello sfidante Kemal Kilicdaroglu che per i curdi rimane un oggetto misterioso, rappresentante di un partito che rievoca solo brutti ricordi. Gli ultimi tasselli verso la vittoria sono stati gli sconti sulle bollette, il gas gratis, un regalo del presidente russo Vladimir Putin che ha posticipato i pagamenti dovuti a Gazprom, ma anche della scoperta di gas nel Mar Nero del 2018, il più grande nella storia della Turchia. «Lo porteremo nelle vostre case nel 2023», promise Erdogan all’indomani della scoperta. Missione compiuta a fine Aprile, in tempo per le elezioni vero, ma altrettanto vero che si è trattata dell’ennesima promessa mantenuta da parte di un leader che, nel bene e nel male, fa quello che dice e così, pezzo per pezzo ha determinato la storia della Turchia costruendo un consenso forte di popolo che nelle sue parole crede ciecamente e che ancora è la maggioranza, anche se rosicate. Della Turchia. Una parte sufficiente a mantenerlo al potere fino al 2028, quando per la Turchia si chiuderà un’era.