Non ha mai dimenticato le sue origini calabresi (il nonno paterno era di Albi, in provincia di Catanzaro), Chick Corea, al secolo Domenico Antonio Corea, leggenda planetaria del jazz ma non solo, compositore e musicista di fama internazionale, morto lo scorso 9 febbraio a causa di una rara forma di tumore che lo ha strappato in pochi mesi alla vita a 79 anni. Era stato proprio il nonno paterno, partito dalla Calabria come tanti prima e dopo di lui, per cercare fortuna negli Stati Uniti a cavallo tra l’Otto e il Novecento, a regalargli, dondolandolo da bambino sulle ginocchia, quel nomignolo «Chick" che lo ha reso celebre e inconfondibile nel mondo. Un talento naturale spiccatissimo (a quattro anni suonava già il pianoforte), Anthony, avviato alla musica dal padre Armando senior, trombettista e direttore d’orchestra, ha calcato per più di 50 anni le scene dei principali teatri del mondo collezionando, dal vinile al cd, un volume impressionante di dischi realizzati in un crescendo di successi. Tante le tappe in Italia per l’artista nato a Chelsea (Massachussets), con qualche puntata anche nella «ritrovata» Calabria. Quella più recente risale all’estate del 2012, in occasione del tour condiviso con Stefano Bollani: a Roccelletta di Borgia, davanti ai ruderi del Parco di Scolacium, fondale del Festival Armonie d’Arte, Chick Corea ha avuto modo di iniziare a ricomporre i tasselli del mosaico delle proprie radici identitarie. L’occasione, come ricorda Lorenzo Corea, albese che porta il suo stesso cognome e che partecipò all’incontro, venne dietro le quinte del concerto tenuto nell’ambito di quella manifestazione. Una delegazione del Comitato festa San Nicola da Tolentino, protettore di Albi e molto venerato dagli emigranti sparsi per il mondo, riuscì ad avere un contatto con l’artista. «Le sue radici erano albesi - ricorda oggi Lorenzo Corea in un post sui social- gli portammo una sorta di albero genealogico, frutto di una certosina ricerca e ricostruzione, da cui si evincevano le sue origini. E lui con nostra grande meraviglia si riconobbe non tanto nella documentazione, quanto nella statuina di San Nicola da Tolentino che avevamo portato con noi per regalargliela e che, molto emozionato, disse di conoscere molto bene perché a quella effigie il nonno era particolarmente legato». «Ci eravamo ripromessi di rivederci, magari ad Albi, dopo un paio di anni - aggiunge Lorenzo - e con una lettera ci aveva anche annunciato che avrebbe voluto conoscere il paese venendo, magari, anche a fare un concerto in onore di San Nicola che si festeggia a settembre. Cosa non semplicissima per un piccolo comune. Poi, purtroppo, si sono persi i contatti. Di rado ci inviava foto dei suoi concerti per il mondo, ma sul pianoforte c'era sempre l’immagine di San Nicola». (ANSA).