XFactor ventiventuno ricorda un po’ l’esperimento di Frankenstein Junior di Mel Brooks: in un momento in cui Simon Cowell chiude dopo diciassette anni l’edizione britannica mentre in Italia lo show viene abbandonato dal suo storico conduttore Alessandro Cattelan dopo dieci (in pratica tutte le edizioni dopo il passaggio dalla Rai a Sky), la produzione prova a tirare il programma fuori dalla “bolla” in cui si è sviluppato fino ad oggi e scaraventarlo nella realtà di questo complicato inizio millennio, abolendo i generi e mischiando le squadre – ma confermando un quartetto di giudici tra i più noiosi di sempre – e poi optando per il giovanilismo di Ludovico Tersigni, o meglio Tersilli come il medico della mutua di Alberto Sordi (ok, a tutti piace la parlata romanesca, ma davvero dev’essere così smaccata in prima serata?) alla conduzione e spingendo nella messinscena sull’aspetto visivo nel disperato tentativo di mantenere attuale una proposta musicale sempre più confusa. Finisce che l’Igor della situazione preleva di nascosto dall’obitorio dei talent un cervello con il cartellino “ABNORMAL” pensando che siano nome e cognome di un nuovo cantante, e il risultato è per certi versi un mostro, sospeso fra la grandeur dello show e una proposta musicale modesta. Tanto che, per sostenere gli ascolti, il primo live viene trasmesso in diretta anche su TV8; con il risultato che il pubblico generalista penalizza nella votazione le proposte più interessanti.
Aridatece le quote rosa
Della “buccia di banana” della sostanziale assenza di donne tra i concorrenti (appena due, Vale LP e Nika Paris, e una delle due pure piuttosto inutile: indovinate quale?), proprio nell’anno in cui si volevano celebrare la diversità e l’inclusione, si è già parlato diffusamente sui media; e il pippone di Emma sull’affossamento del DL Zan contro l’omotransfobia, per quanto giustissimo e condivisibile, onestamente è parso un po’ fuori luogo in un’edizione che ha già fatto fuori gli aspiranti “non binari” e che non ha voci femminili (anzi, non ha proprio una donna) neanche nelle band. Aridatece le quote rosa, quindi, perché con questo sistema – mascherato da “conta il talento, non il genere” – non avremo più non solo Casadilego e Sofia Tornambene o salendo di livello Francesca Michielin e Chiara Galiazzo, ma neanche Melancholia, Booda, Bowland o Seveso Casino Palace. E alla lunga, con tutte queste voci maschili rischiamo pure di annoiarci. Fortuna che a metà gara ci concedono cinque minuti della divina Carmen Consoli, nei quali la “cantantessa” ha il tempo di accennare L’ultimo bacio voce e chitarra, declamare versi di Franco Battiato e deliziarci con la nuova Qualcosa di me che non ti aspetti, suonata – crepi l’avarizia – con Max Gazzè al basso e Marina Rei alla batteria, per poi lasciarci nuovamente alle nostre miserie.
La gara vera ma... non tanto
Ma andiamo alla gara, anche se gara “vera” non è visto che non ci sono eliminazioni e che i voti riportati dai concorrenti verranno sommati a quelli del secondo live quando i dodici talenti si esibiranno finalmente nelle cover. Sì, perché a parte la puntata di ieri (nella quale sono stati proposti solo brani originali, peraltro tutti o quasi già sentiti tra audizioni, Bootcamp e Home Visit) dall’inizio di questa edizione abbiamo assistito a una messe di inediti anche un po’ presuntuosa, e per capire chi sia realmente dotato a 360 gradi dovremo aspettare giovedì prossimo. Detto questo, non sono mancate le cose interessanti: sopra tutti metterei gIANMARIA (voto 8), che già alle audizioni con I suicidi aveva mostrato la capacità di tratteggiare una realtà di disagio non solo generazionale con distacco e sensibilità insieme, ma che deve ancora imparare a “cantare” e soprattutto a far comprendere il testo. Problema simile per Baltimora (voto 7), musicista-produttore che veste la sua Altro con un mix molto ben fatto ma che si… mangia regolarmente la fine dei versi. Restando alla prima manche, francamente incomprensibile l’atteggiamento da “riserva indiana” che i giudici e il pubblico mostrano nei confronti di Nika Paris (voto 5), che ha il solo merito di riportarmi ai miei quindici anni: era dal 1987, con Joe le taxi di Vanessa Paradis ed Etienne di Guesch Patti, che in Italia non si sentivano così tanti pezzi in francese... E dal momento che la sua Tranquille non è né Aisha né Formidable, l’impressione è che la si voglia salvaguardare nel nome di una multiculturalità che in questa edizione è stata ampiamente trascurata anche rispetto al recente passato. I tre meno votati della prima tornata sono i Bengala Fire, nonostante il loro inedito Valencia sia piuttosto forte e le loro influenze (Oasis, Blur, Arctic Monkeys) parecchio interessanti: e ok, Mika, l’inglese del cantante ha un pesante accento di Manchester, ma pensa a come parli tu l’italiano dopo tanti anni… Voto 7,5 e voglia di risentirli. Più complesso il discorso per i Vestfalia (voto 6), che al di là di un genere forse troppo sofisticato per il contesto danno la netta sensazione di essere molto più bravi di quanto abbiano dimostrato finora ma non, qualità tecniche a parte, realmente così affiatati come sostengono i giudici. Così come per Versailles (voto 6,5), apparso ingabbiato nel personaggio anche dal sound dell’inedito Truman Show, troppo legato allo schema del grunge: strofa accompagnata e ritornello schitarrato, e anche le incursioni rap non sono poi così tanto una novità. *** La seconda manche si apre con il quiz: sono i Mutonia o i Karakaz? Alzi la mano chi riesce a distinguere il gruppo di Manuel da quello di Manuelito, e lo so che i primi sono in tre e gli altri in quattro. Più che Iggy Pop, i due frontman sembrano Tom Petty nel video di Don’t come around here no more ma senza copricapo da cappellaio matto, anche il sound di Rebel somiglia a quello di Useless e insomma, nel dubbio (che non risolveremo mai) il voto è in comune, e per il momento è al massimo 6. Le perplessità dei giudici si concentrano invece sul gruppo che IlMaxFactor ha deciso di adottare in questa edizione: Le Endrigo sembrano presi da Boy Band dei Velvet («Soffro lo stress, sono stanco e fuori forma... Suono in una boy band, mi manca il senso del pudore»), sono fighi come il complessino del tuo matrimonio ma tutt’altro che scarsi, e poi è da ieri sera che il mio cervello canticchia «I ragazzi faranno i ragazzi, una banda di teste di c... che fanno oh-ohoh-ohohohohoh». Sì, vostro onore: Cose più grandi di te è il pezzo migliore della prima serata. Ironico, accattivante, anche paraculo come sostengono i giudici ma né insincero né cheap. Voto 8 e stavolta il pubblico sembra capire, a differenza delle quattro carampane sedute al tavolo. Lo stesso non si può dire per Vale LP, che finisce tra i meno votati pur essendo, insieme a gIANMARIA, il/la concorrentə (cavolo, morivo dalla voglia di usare lo schwa in un pezzo) con più cose da dire. Cheri si conferma una bella sorpresa, la ragazza non è dotatissima come cantante ma la scrittura è già interessante e il pezzo funziona: voto 8. Infine, due concorrenti che arriveranno in fondo, solo che uno dei due mi sembra enormemente sopravvalutato: Erio (voto 6) ha un timbro particolare e canta anche bene in termini di interpretazione, ma davvero vogliamo sostenere che il testo di Amore vero è originale e che ottempera alla funzione zen di permetterci di entrare in contatto con la nostra anima (ad avercela, ovviamente)? Mah. Il vero fenomeno è invece Fellow: anche lui ha un buon inedito (Fire), la voce è probabilmente la migliore del lotto e la resa, per far la rima, è da 8.
Tersilli da mutua, l'estetica di Mika, il peperoncino di Emma
Infine, la brigata di cucina di questo polpettone, comunque sempre ben fatto e divertente: Ludovico Tersilli convenzionato con le mutue (voto 4) fa rimpiangere Alessandro Cattelan in tutto tranne la giacca da Willy Wonka, vaga per il palco continuando a ripetere le stesse cose e cerca di fare il simpatico gabellando per citazione “alta” dell’illustre predecessore la stanca avvertenza «Questa non è una classifica». Crescerà, al momento è un pesce fuor d’acqua. Tra i giudici, Manuel Agnelli (voto 5) ha la faccia schifata già quando lo presentano sulle note di Born Slippy degli Underworld, e si vede che sta pensando che preferirebbe sballarsi come i protagonisti di Trainspotting, film del quale il brano è la colonna sonora. Fin troppo ecumenico nei giudizi, esteticamente spaventoso con quella barba bianca che lo fa sembrare tinto più di quanto non sia. A proposito di estetica, ho fatto scrivere dal mio avvocato a Mika (voto n.g.) perché la sua camicia mi ha sballato il bilanciamento del colore della tv. Ed è stata la sua cosa migliore, intanto perché arriva già al live con la squadra sbagliata per due terzi in forza delle scelte fatte tra Bootcamp e Home Visit, in più esprime giudizi a simpatia e antipatia, e anche quando azzarda una citazione di Fossati («Se fossi un cacciatore non ti caccerei», Carte da decifrare) nessuno al tavolo se lo fila di pezza. Nel suo modo a metà tra il rusticano e l’ajo ojo e peperoncino, la migliore è di gran lunga Emma (voto 7), mentre Manuelito Zappadu don Diego de la Vega Hell Raton (voto 6) continua, sulla falsariga dello scorso anno, a discettare come se avesse alle spalle settant’anni di carriera nel rock ma alla fine le sue scelte, al momento, non vengono premiate visto che Karakaz e Versailles sono tra i meno votati. Nel complesso, quando il dottor professor Tersilli lascia il microfono a Paola di Benedetto per il “dopofestival” la sensazione che ti lascia questo show è quella di una gran bella cosa che va ad esaurirsi, per dirla con Verlaine “L’impero alla fine della decadenza”. Speriamo non sia così, visto che mancano altri sei live. ilmaxfactor.blogspot.com