Si torna sempre dove si è stati bene. Deve essere stato questo - ma non solo questo - a fa tornare stasera Luciano Ligabue per la quarta volta a Campovolo, nella sua Reggio Emilia. Dopo la sbornia del 2005, seguita da quella del 2011 e poi del 2015 (per festeggiare i 25 anni di carriera), il rocker di Correggio inaugura la nuova RCF Arena, sorta sulla polvere di quello che fu il vecchio scalo reggiano. «Ci tengo un bel po' a questo posto - dice Liga, poco prima di salire sul palco per «30 anni in un (nuovo) giorno, rimandato di due anni causa covid - e sono felice di inaugurare il nuovo spazio. Ma non è mio come si favoleggia in città. Io ho solo condiviso l’idea. Direttore artistico? Non è nei miei piani, ma nella vita ho fatto anche cose che non avevo pensato di fare».
Una vita che, a guardarsi indietro, non cambierebbe con quella di nessun altro. «Il Covid ha avuto effetti su ognuno di noi - dice -. Per la prima volta , in astinenza da concerti, mi sono fermato a guardare quello che avevo fatto e la vita che avevo vissuto. E, beh, sono arrivato alla recente conclusione che non non cambierei la mia vita con nessun’altra». Una consapevolezza che lo ha portato anche a scrivere un brano che porta lo stesso titolo e con la quale apre il live di stasera. Un concerto, davanti a 103mila persone, in cui pace, accoglienza, diritti dei più deboli faranno spesso e volentieri capolino. E non poteva non essere così per chi, già 23 anni fa, si schierava dalla parte della pace in Jugoslavia con "Il mio nome è mai più", insieme a Piero Pelù (che stasera doveva essere tra gli ospiti, ma ha dovuto dare forfait per la caduta sul palco dei giorni scorsi) e Jovanotti. «Mi affligge sapere che la spesa militare mondiale l’anno scorso ha battuto ogni record. La nostra tanto decantata civilizzazione è in realtà un’involuzione: con il nostro armarci siamo una bomba che si innesca», ha sottolineato, aggiungendo che «il brano fu fatto con un totale coinvolgimento sentimentale per affermare la nostra posizione. In quel momento la temperatura emotiva era altissima, come lo è anche ora. Oggi quella operazione, che portò con i ricavati a costruire ospedali in zona di guerra, sarebbe più complicata per il declino dei supporti fisici ma è importante il messaggio che lanci, perché la posizione rimane la stessa».
Come non cambia il suo rapporto di amore e odio per l’Italia, ben espresso in Buonanotte all’Italia. «Era e rimane una lettera d’amore. Mi rendo conto invecchiando di essere sempre più sentimentale: provo amore ma anche disprezzo per le cose che non funzionano. Un doppio sentimento che mi fa sentire legato a questo Paese nonostante tutto». Sul palco, lungo 77 metri (il numero 7, casualmente o meno, torna sempre nella sua vita) e alto 19, con una passerella centrale di 36 metri e una visibilità ottimale da ogni punto grazie alla pendenza del 5%, insieme a lui, oltre ai suoi musicisti, ci saranno altri sei ospiti. O amici, come preferisce definirli: Loredana Bertè, Francesco De Gregori, Gazzelle, Mauro Pagani, Elisa ed Eugenio Finardi, con il quale proporrà Musica Ribelle dello stesso Finardi, unico pezzo non suo in scaletta. "Un gran pezzo, che negli anni Settanta era una chiamata a svegliarsi e a darsi da fare. Un omaggio giusto a chi già in quegli anni dimostrava che si poteva fare canzone d’autore con spirito rock».
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