In un format come quello di XFactor, i bootcamp sono certamente un passaggio fondamentale, un vero e proprio bivio – un turning point, una sliding door come dicono quelli che sanno l’inglese – per i concorrenti che hanno superato le audizioni e dopo questa tappa si troveranno in un rapporto numerico di 1:2 per arrivare al live. O meglio, così sarebbe stato se a conclusione della prima parte dei bootcamp non si fosse verificato un evento finora mai accaduto: che un concorrente si ritrovi direttamente al live senza passare dalla Last Call, l’ultima selezione (da sei a tre concorrenti per squadra) che prima si chiamava Home Visit.
A sconvolgere questa tradizione è stato Fedez (voto 8), peraltro con una mossa di grande intelligenza strategica che lo proietta sin d’ora, se non proprio verso la vittoria, quantomeno in una dimensione di favorito d’obbligo. E dire che all’inizio sembrava essere stato contagiato dal morbo di Rkomi (voto 5,5), talmente incapace di dire un “no” da incasinarsi tremendamente al momento dello switch. Per il resto, finalmente una puntata di buon livello dal punto di vista musicale, anche se – con un paio di speranze, più che eccezioni – di fenomeni “veri” si continua a non vederne.
Ma andiamo con ordine. La puntata si apre con la conduttrice Francesca Michielin (voto 7) che, archiviata la polemica tapping-fingerpicking, siede al piano per accennare Distratto, l’inedito con il quale vinse l’edizione di dieci anni fa. Senza strafare, anche perché il suo ruolo è limitato visto che il bootcamp è il palcoscenico dei quattro giudici (per la prima volta l’uno contro l’altro), cerca di motivare i concorrenti ma sembra già mostrare un po’ la corda nei siparietti dietro le quinte. Ma per il semplice fatto di esserci – e di esserci al posto di Ludovico Tersilli... ehm, Tersigni – non andrà mai sotto la sufficienza nelle nostre pagelle. Così, per gratitudine. Almeno quando spiega la formula si fa capire, e non è poco. Apprendiamo così le novità di XF2022: sei sedie anziché le cinque delle ultime edizioni, i roster assegnati dalla produzione agli ignari giudici nuovamente senza distinzioni di categorie, con l’unico obbligo (confermato) di dover portare al live almeno un solista e almeno una band. Dodici i concorrenti per squadra: da subito la sensazione è che quella messa insieme per Fedez sia molto più forte di quella toccata a Rkomi, il quale però ci metterà brillantemente del suo per non avere alcuna chance di vittoria.
Come accennato, la strategia – ma sarà una strategia? – adottata da Rkomi è di non dire di no a nessuno, il che finisce fargli per riempire le sei sedie dopo esattamente sei concorrenti, almeno un paio dei quali (Lina Lane e Alessandro Baroni) evitabili, e ricorrere allo switch cinque volte sulle ultime sei esibizioni; e quando non lo fa sbaglia, come nel caso di Martina che trasforma Marla di Salvo in una ballata chitarra e voce; l’unica giustificazione è che fosse già convinto di portarsi alla Last Call l’ultima concorrente salita sul palco, Giorgia Turcato, con una versione simile (e molto bella) di Save your tears di The Weeknd. Ma è nel doppio switch ritornato carpiato con tre avvitamenti e mezzo che Rkomi conquista la palma di “giudice per caso”: prima fa alzare i Moise (che pure non erano dispiaciuti affatto) per dare una sedia a Clemente, poi nel giro di tre minuti lo defenestra a favore dei Santi Francesi ristabilendo peraltro la presenza di due gruppi. Ma allora perché il primo cambio, verrebbe da chiedersi... I migliori? Proprio i Santi Francesi con la cover di Sono un ragazzo di strada dei Corvi, e Jacopo, autore di un inedito (Intelligenza artificiale) dalle sonorità molto interessanti. Ma non sembra che da questo roster possa venir fuori il vincitore di XF2022.
«A questi un divano, altro che sedie!»: l’esclamazione di Ambra (voto 6,5) al termine dell’esibizione degli Omini segna – come ci si attende da un bootcamp – il turning point della puntata e forse dell’edizione. I tre teenager torinesi, che alle audizioni si erano presentati vestiti come Pete Townshend a Woodstock e avevano incendiato l’Allianz Cloud con Tick Tick Boom degli Hives, fanno ancora meglio con un brano proprio del gruppo di Townshend, gli Who: una My generation davvero esplosiva che frutta loro la standing ovation, l’odio di Rkomi («Ora che sono rivali li detesto, non gli voglio più bene!») e le spallucce di Dargen D’Amico (voto 6,5) che fulmina con lo sguardo Fedez.
Quest’ultimo gongola e sentenzia: «Sento odore di live», prospettiva che penserà poco dopo a concretizzare eliminando tutte le altre band del suo roster e mandando gli Omini, appunto, automaticamente ai live. E occhio, perché per quanto si è sentito fino ad ora vanno considerati dei potenziali vincitori di XFactor. Così come Linda, che con Rootless tree di Damien Rice fa un piccolo passo indietro rispetto alle audizioni (quando aveva reso una bellissima Coraline dei Maneskin) ma conferma di avere qualità interpretative fuori dal comune. Convincono anche la voce dolce e potente di Miam (Eppure sentire di Elisa) e il mashup tra Bang bang di Nancy Sinatra e O’ Sarracino di Renato Carosone proposto da Gaia Eleonora, anche se l’arrangiamento elettronico ricorda moltissimo quello dell’inedito cantato alle audizioni e resta il dubbio se possa fare anche altro. Ebbro di cotanta buona sorte, Fedez commette però un errore tenendo in squadra non tanto l’italo-canadese Filippo, che ha un timbro particolare e un inedito accattivante ma non si è ancora cimentato in una cover, quanto Marco che commette l’errore fatale di questo XFactor: ascoltare Rkomi. Alle audizioni, dopo la cover di Lewis Capaldi, il lucidissimo giudice aveva paragonato la sua voce a quella di Paolo Nutini, e lui si presenta con una versione piattissima e convenzionale del capolavoro del cantautore scozzese, Iron Sky. E sì che Fedez deve essersene accorto, se gli consiglia – la prossima volta che lo paragoneranno a qualcuno – di andare nella direzione opposta. Epperò lo tiene seduto fino alla fine escludendo Luca (voce simile, approccio più interessante e un pizzico di follia nella sua Onda su onda) e soprattutto il povero Michele, cantautore sardo-cinese al quale Fedez aveva già detto di no alle audizioni prima di riabilitarlo alle Room Auditions nonostante si fosse impallato durante il brano; l’inedito Mai mai mai mai mai è di buon livello ma Fedez, pur riconoscendolo, non fa alzare nessuno.
A Michele va comunque il premio Paolino Paperino per l’import-export (più import, in realtà) di sfiga. Si ferma qui anche Omar, che pure canta benissimo Un giorno in più di Irama: scelta coraggiosa da parte di Fedez, vista la nonna del concorrente che alle audizioni a momenti menava sia lui che Rkomi. La prossima settimana toccherà ad Ambra e Dargen scegliere i propri sei aspiranti concorrenti, e ci aspettiamo una puntata pirotecnica come quest’ultima.
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