Giuseppe Conte può tirare un respiro di sollievo: se il risultato finale del Movimento si confermerà dentro la forchetta del 13,5 e il 17,5 per cento dei primi exit poll avrà ottenuto un primo successo. Considerate le difficoltà in cui versava al nastro di partenza della campagna elettorale, per i 5 stelle attestarsi su una soglia attorno al 15% sarebbe infatti già un target di rilievo. "Ci davano per morti con sondaggi che a inizio campagna viaggiavano tra il 6 e l’8 per cento» commenta infatti a caldo il vicepresidente del M5s, Michele Gubitosa che esulta per la «rimonta». Dopo aver premesso di giudicare ancora con «prudenza» questi primi dati parla però di un «risultato importante». Ma il Movimento, che alle politiche del 2018 aveva raccolto oltre il 32% dei voti e alle successive europee, tuttavia, era sceso al 17%, è già pronto all’attacco del Pd che deve fare «mea culpa» per aver chiuso la porta al Movimento dice un altro vice di Conte, Riccardo Ricciardi. «Il centrodestra unito vince, si facciano una domanda» attaccano i 5 stelle. Ma a parte la sfida con il Pd di Enrico Letta, che il M5s tallona all’apice della forchetta (i dem sono dati tra il 17 e il 21%), il risultato elettorale è per Conte innanzitutto un referendum sulla sua leadership nel Movimento dopo il disastroso risultato delle recenti amministrative di giugno, il cui flop venne ammesso dallo stesso leader «senza nascondere» la delusione. Ma è anche una sfida personale con gli altri leader. Il presidente pentastellato, arrivato nel Movimento senza passare dalle urne, aveva rifiutato di misurarsi con il consenso degli elettori quando c'era stata la possibilità di candidarsi alle suppletive per il collegio di Roma Centro della Camera. Ora che l’elezione è blindata, Giuseppe Conte si è candidato capolista in quattro regioni e cinque collegi plurinominali per Montecitorio: in Lombardia, in due collegi, dove si scontra, tra gli altri, con Giorgia Meloni ed Enrico Letta, in Campania dove sfida, tra gli altri, De Magistris e Mastella e poi, ovviamente, in Puglia e in Sicilia. A dispetto del suo tentativo di scrollarsi di dosso l'appellativo del partito del reddito di cittadinanza e del partito del Sud, la corsa elettorale del Movimento dovrà invece molto del suo successo proprio alla misura simbolo dei 5 Stelle, che Conte ha difeso contro i detrattori. Ma anche dalle grinfie di chi l’ha cavalcata seppure con precisi distinguo: dai dem a Sinistra italiana passando persino per Berlusconi e fino ad arrivare a Luigi Di Maio, l’artefice del provvedimento che avrebbe «abolito la povertà» che ha, per forza di cose e suo malgrado, dovuto lasciare la paternità della misura in eredità al partito da cui si è scisso. E proprio la scissione da Di Maio e quelle che l’hanno preceduta, con un gran pezzo del Movimento che lo aveva abbandonato dopo l’abbraccio fatale con Mario Draghi, è la prima sfida su cui Conte si è dovuto misurare. L'accoglienza nelle piazze aveva già dato il primo responso positivo, lanciando l’ex premier sulla rampa di lancio di un recupero di consensi su cui in pochi avrebbero scommesso.
Boccia (Pd)
Con il M5S "si è rotto il confronto, che sui territori continuerà ad andare avanti. Evidente che si aprirà un’altra stagione dopo che avremo capito quali sono i numeri". Lo ha detto Francesco Boccia, ospite di Porta a Porta, su Rai 1.
Rosato (Italia Viva)
«Sì. Mi vedete triste?». Il presidente di Italia viva, Ettore Rosato, replica così ai cronisti che lo avvicinano al comitato elettorale di Azione-Iv e gli chiedono se con i dati del voto per ora disponibili, il Terzo polo potrà a suo giudizio costituire i gruppi sia alla Camera che al Senato. «Per ora abbiamo gli exit poll, valuteremo i dati effettivi. Quelli che ci arrivano da alcuni seggi di Milano ci danno come il primo partito. Mi sembra che sia un dato significativo, li leggeremo tutti con attenzione», continua. Rosato invita alla prudenza e a chi gli chiede se il risultato a 'doppia cifra' sembra sfumato risponde: «Abbiamo tutta la notte da passare insieme...