Anche se si tratta di un evento che tutti aspettavano da settimane, il conferimento ufficiale da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’incarico di formare il governo alla leader di FdI e vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni ha un impatto e un significato clamoroso nella recente storia del nostro Paese. Per la prima volta, l’Italia ha infatti un presidente del Consiglio donna e, sempre per la prima volta, a capo dell’esecutivo ci sarà un erede di quella destra post-missina che una volta si sarebbe detta «fuori dell’arco costituzionale», e cioè facente parte di una formazione politica non coinvolta nella costruzione dello Stato repubblicano antifascista.
Oggi, dunque, c'è stato l’approdo a Palazzo Chigi, ma quella di Meloni è una storia che inizia in una sezione romana del Fronte della Gioventù poco meno di 30 anni fa e - a detta anche degli avversari - è anche la storia dell’ultima generazione di politici che si sono sottoposti alla «trafila» classica con la scalata all’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, l’approdo alle prime cariche elettive locali, e infine, al Parlamento nazionale.
Alla Camera Giorgia Meloni ci è arrivata nel 2006 e qualcuno la ricorda in un angolo del Transatlantico prendere diligentemente nota delle istruzioni di Giulio Tremonti su come si dovesse comportare una provetta vicepresidente della Camera. Allora era stata eletta deputata per la prima volta, a 29 anni - il che rappresentava già un traguardo ragguardevole per l’epoca - ma solo qualche giorno dopo la proclamazione era già pronta a salire sullo scranno più alto di Montecitorio, in qualità di presidente vicario in quota An. Nel suo fortunato libro autobiografico 'Io sono Giorgià la diretta interessata ha amato definirsi «secchiona», e nei momenti della vittoria, ieri notte, è stata proprio la sorella Arianna a ricordare questo tratto della leader di FdI, che deriva a sua volta dalla ricorrente condizione di outsider non proveniente da una dinastia politica, per giunta donna in un mondo a prevalenza maschile.
Era outsider da baby-vicepresidente della Camera molti colleghi ricordano come seppe da subito condurre con piglio energico - qualche volta troppo - i lavori d’aula, così come era outsider nel Fronte della Gioventù, dove era arrivata bussando la porta della sezione, senza provenire da nessuna casata della destra romana. La legislatura successiva a quella della vicepresidenza della Camera arriva l’esordio da ministro, che non può che essere delle Politiche giovanili, poi le vicende interne del centrodestra e la rottura traumatica tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi portano Meloni ad allontanarsi da quello che era stato il suo mentore, a non seguirlo nell’esperienza di Futuro e Libertà per «dare una nuova casa alla Destra» con la fondazione di Fratelli d’Italia assieme a Ignazio La Russa e Guido Crosetto. Una forza nata anche come conseguenza dello stop alle primarie aperte nel Pdl, imposto dal Cavaliere. E anche lì, si parte con la sfida di essere la prima donna leader di partito (e attualmente l’unica) per giunta di destra, un territorio considerato generalmente più chiuso alla presenza femminile in politica.
Gli inizi, come è noto, non sono dei più incoraggianti: FdI non arriva al 2 per cento alle Politiche del 2013, migliora alle Europee l’anno successivo ma non supera lo sbarramento e non elegge deputati a Strasburgo. Cresce ma non troppo alle Politiche del 2018, quando prende il 4,3 per cento, contro il 14 per cento di Forza Italia e il 17,4 per cento della Lega di Matteo Salvini. Poi, la decisione di non entrare nel primo governo Conte assieme all’alleato Salvini, un’ipotesi che a un certo punto parve concretizzarsi, per poi sfumare definitivamente. Alle Europee del maggio successivo, nelle quali il partito di via Bellerio prese il 34,3 per cento, FdI ha ottenuto il 6,4 per cento, un incremento non paragonabile al raddoppio della Lega e non sufficiente a operare un sorpasso su Forza Italia (allora all’8,8 per cento). Ma è con l’esperienza di governo di Salvini e l’inizio della fase calante di FI che le cose cominciano a cambiare: la non compromissione con l’esecutivo gialloverde paga, così come paga l’utilizzo sempre più penetrante della comunicazione sui media e sui social. Il tutto, non disgiunto da una riconosciuta (anche dagli avversari) abilità oratoria.
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