Da una fiducia all’altra, passando per 9 anni, 6 premier e l’onta della "cacciata" dal Senato. Si misura così l’assenza di Silvio Berlusconi che torna a parlare nell’aula di Palazzo Madama e conferma la fiducia «convinta» al governo di Giorgia Meloni. Nel 2013 il suo sì - quasi a sorpresa e «non senza interno travaglio», disse allora - fu per l'esecutivo di Enrico Letta. Ora il Cavaliere si fa portavoce degli azzurri e non nasconde il valore della rivalsa: «Per me è un motivo di grande soddisfazione riprendere la parola in Senato, dopo nove anni». Lo traduce quasi in un dejavu, visto che interviene «proprio quando il popolo italiano ha scelto ancora una volta di affidare il governo del Paese alla coalizione di centrodestra», rimarca. Unica zampata quando si intesta la paternità del ritorno a Palazzo Chigi del centrodestra: «Questo è possibile perché 28 anni fa è nata una coalizione plurale, nella quale la destra e il centro insieme hanno saputo esprimere un progetto democratico di governo per la nazione».
Per il resto, quelle del leader di Forza Italia sono parole misuratissime e affidate a un testo scritto. Scelta probabilmente non casuale dopo lo strabordare dei giorni scorsi nell’audio rubato in Parlamento. Nelle nove pagine che legge in aula ribadisce quel che per lui è «ovvio» e cioè la lealtà alla squadra di governo, l’Occidente come scelta di campo e la difesa dei diritti dell’Ucraina. Il governo gli tributa una standing ovation, promossa dalla premier (che si alza e lo va a ringraziare di persona) e da gran parte dei suoi ministri. Restano seduti Francesco Lollobrigida e Giancarlo Giorgetti, come intercettano le telecamere del Senato. Il gran ritorno dell’ex premier, dopo la decadenza da senatore decisa il 27 novembre 2013, ha toni soft e nessun trionfalismo. Secondo i più maliziosi, c'è da correggere il tiro dopo le parole che non avrebbero dovuto uscire dalla riunione con suoi parlamentari sulla guerra in Ucraina e sul presidente Putin. E il Cav in effetti si limita all’essenziale. Sceglie però di entrare dall’ingresso principale del Senato. Arriva nel pomeriggio, poco prima della replica della presidente del Consiglio. Ad accoglierlo alla porta c'è la fedelissima e capogruppo di FI, Licia Ronzulli. Giusto il tempo di uscire dalla macchina, voltarsi verso le decine di curiosi e turisti che lo aspettano sul marciapiede di fronte e salutarli. Col contagocce pure le battute alla stampa, se non una fugace dichiarazione: «La situazione è difficile ma noi diamo convintamente la nostra fiducia», dice a chi gli chiede se le difficoltà sono superate nel governo. Accolto dal 'bentornatò del presidente del Senato, Ignazio La Russa, Berlusconi prende la parola e, a braccio, si giustifica: «Oggi non farò sfoggio della mia eloquenza perché ho tante cose da dire e mi sono scritto diligentemente tutto quanto». Sottolinea anche la coincidenza che poche ore prima è diventato nonno per la diciassettesima volta. Poi passa al cuore del discorso: oltre al voto di fiducia che FI darà oggi, il presidente si impegna sul domani: «Lavoreremo con lealtà, con passione e con spirito costruttivo, per realizzare il nostro programma». Rassicura più volte sulla posizione fuori dall’Italia: «Non abbiamo mai compiuto una scelta di politica internazionale, che non fosse dalla parte dell’Occidente e della libertà». Al conflitto in Ucraina dedica solo un passaggio: «Noi non possiamo che essere con l’Occidente, nella difesa dei diritti di un Paese libero e democratico come l’Ucraina». Si professa «uomo di pace" e «nel rispetto della volontà del popolo ucráino». Ma avverte: «Su questo la nostra posizione è ferma e convinta, è assolutamente chiara e non può essere messa in dubbio da nessuno, per nessun motivo».
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