Valencia, il Superman al contrario. L'"assist" involontario a Koulibaly elimina il suo Ecuador
Da giorni non si fa altro che parlare del centravanti nel calcio contemporaneo. Ruolo che fino a prima dell’inizio del Mondiale qatariota pareva un inutile retaggio del passato, sacrificato sull'altare del diktat secondo il quale ciò che conta davvero è l’occupazione di ogni singolo metro quadrato del campo. Compito a cui, con tutte le diverse interpretazioni tattiche del caso, tutti i giocatori in campo devono sottostare. E «il» ruolo, quello del centravanti così come stato pensato per oltre un secolo, dicevano i saggi, era obsoleto. Poi è arrivato il Mondiale con i vari Richarlison, Morata, Lewandovski, centravanti veri, capaci e felici di esserlo e di segnare da centravanti d’antan. E poi c'è, soprattutto, Enner Valencia, celebratissima punta centrale dell’Ecuador, che pareva più di ogni altro capace di trascinare la Tri, così è chiamata la selezione ecuadoregna, agli ottavi di finale, specie dopo il successo nella gara inaugurale contro il Qatar. Ma il ruolo di centravanti ha qualcosa di mistico e di inversamente proporzionale rispetto a quello del portiere, che deve fare i conti in ogni momento con la sua solitudine. L’attaccante principe deve essere pronto a nascondersi nelle difese avversarie e, per definizione, a infilarsi nelle fessure che prima o poi in quelle si aprono. Ma solo nelle difese altrui, non della propria. Dove chi è nato centravanti può rischiare di trovarsi come un pesce fuor d’acqua e magari fare anche danni. Il che è esattamente ciò che è successo a Superman, il soprannome di Valencia. Il quale oggi, pochi minuti dopo il pareggio raggiunto per l’Ecuador contro il Senegal, si è fiondato nella sua area per dare una mano ai suoi visto che la squadra africana si era riversata in avanti alla ricerca di un nuovo vantaggio. Ma il centravanti può non avere quel senso della posizione e quella reattività al contrario (non spingere la palla in rete ma allontanarla dalla rete) di cui dispone un centravanti puro. E allora ecco il guaio: un pallone al centro dell’aerea che Superman non solo non riesce ad allontanare; ma che gli rimbalza addosso e diventa, perfido, un assist per Koulibaly. Che segna il 2-1. Senegal agli ottavi, Ecuador a casa. Una beffa letale per uno che è capocannoniere del Mondiale in compagnia di Mbappè e di Gakpo, ossia della bella gioventù del calcio planetario. E pensare che nascondersi è il suo forte; nel 2016 per sfuggire all’arresto da parte della polizia ecuadoregna, che lo avrebbe prelevato di lì a poco, durante un match col Cile finse un malore misterioso per farsi portare via dal campo e dallo stadio a bordo di un’autoambulanza. La sua ex moglie gli aveva chiesto il saldo degli elementi non pagati: 17.000 dollari. Anche chi è Superman non può tutto. Specie quando non è nel suo territorio di caccia: l’area avversaria.