"E non finisce mica il cielo" se non vinci Sanremo. Anzi. C'è un premio che rompe. C'è dal 1982, da quando Mia Martini lo ha suscitato. Una statuetta che da allora fino a ieri, solo 5 volte su 38 anni, è finita nelle mani di chi il Festival poi lo ha ufficialmente vinto. Il riconoscimento di una "critica" che ci tiene a staccarsi dal giudizio popolare, a dirsi esperta contro le sensazioni generali. Tante giurie, altrettanti criteri, ovvio. Sano.
E forse il senso è proprio questo: cercare una giustizia delle cose che oltrepassi, spesso invano, il divano. Il potere un po' radicale, per altri versi chic, incondizionato (talvolta però condizionabile) di dire a chi sta fuori dalle sale che non ci ha capito nulla di quello che vale. Di fidarsi del mestiere assoluto, delle lungimiranze. Dell'orecchio isolato delle maestranze opposto allo sguardo assolato, desolato delle tendenze.
Nel 1995 Giorgia, nel 2001 Elisa, nel 2007 Simone Cristicchi, nel 2011 Roberto Vecchioni e nel 2020 Diodato.
Tre vittorie per Mia Martini, Patty Pravo e Daniele Silvestri, due i Matia Bazar, Fiorella Mannoia, Samuele Bersani, Elio e le Storie Tese, Cristiano De André e Malika Ayane.
Una lista sorprendente. "Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si ama. Cambia idea improvvisamente...Sai la gente è matta, forse troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente e quando la moda cambia lei pure cambia. Continuamente, scioccamente". Ma "tu, tu che sei diverso, almeno tu nell'universo non cambierai. Dimmi che per sempre sarai sincero. E che mi amerai davvero". Mimì.
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