Lunedì 23 Dicembre 2024

Aspettando Sanremo, c'è Ermal Meta e..."Un milione di cose da dirti"

Ermal Meta (foto: Paolo De Francesco)
Ermal Meta (foto: Paolo De Francesco)
Ermal Meta (la cover di “Tribù Urbana“)
Eermal Meta (foto: Emilio Timi)
Ermal Meta (foto: Emilio Timi)
Ermal Meta (foto: Emilio Timi)

Ci sarebbe “Un milione di cose da dirti”… Tipo che questa canzone aperta, verticale, col principio senza fine, di pochi accordi ma stipulati con le parole giuste, quella con cui Ermal Meta si presenterà al 71esimo Festival di Sanremo… l’ha scritta tre anni fa. All’inizio della sua carriera da solista, tra una scossa di assestamento e l’altra. Col blocco in gola e un nodo da sciogliere. «Ho parlato con chi non c’era, ho vomitato tutto in una manciata di minuti». Una ballad, un bpm più lento che «ci mette un po’ ad attecchire, non è a presa rapida». Non ci sono nomi perché quando due si amano i nomi si perdono, non c’è nessun “e vissero felici e contenti” perché non va a finire. «E se finisce non si vede». Si potrebbe aggiungere che... “Un milione di cose da dirti” starà dentro a un disco in uscita il prossimo 12 marzo. Già circola in radio il primo singolo estratto, s’intitola “No satisfaction” (il video clip praticamente è un cortometraggio) e anticipa “Tribù urbana”, un album pensato per il live (prodotto da Mescal e distribuito da Sony) scritto «proiettandomi in platea, di solito mi immagino sul palco, stavolta mi sono visto tra la gente». La “tribù urbana” è Il suono fantasma, che nella realtà non esiste, eppure si sente. Musica posata, niente punk o hard rock né crossover, «ora sono altrove, ma affondo lì». Una commistione, che conserva la quota classica, ma vira talvolta in direzioni diverse. «Dentro all’album c’è quello che ho provato. Il suono? Quello dipende pure dagli strumenti che sperimento mentre compongo». Undici tracce. Una track list tra “Gli invisibili”, intercettati nei loro nascondigli («mi è successo, ad esempio sentire i colleghi raccontare una canzone che però avevo scritto io… mi faceva soffrire, perciò mi sono messo in proprio»). In mezzo a “Stelle cadenti”, come nella foto scattata da un ubriaco («artistica, ma non nitida»). Accanto a “Nina e Sara”, al movimento dell’umanità come sangue che circola, alla gentilezza che salverà il mondo («la felicità non te la posso garantire, ma la tristezza te la posso risparmiare»). C’è quella coincidenza da sottolineare. I corsi e ricorsi di Dalla nel Sanremo di Meta. Che ha scelto “Caruso” per la serata Cover del 4 marzo. 4 marzo e Lucio, il suo giorno nell’anno del 50esimo anniversario di quel capolavoro. L’ha scelta perché tutti gli hanno sconsigliato di farla. Per prendere le misure ai suoi limiti, ha voluto «mettere i guanti di velluto e toccare l’intoccabile». È andata così: «Mi sono seduto al piano e ho registrato. Poi ho chiesto a Calvetti (il maestro Diego Calvetti, che lo dirigerà a Sanremo) l’arrangiamento giusto. Ho suggerito i mandolini, ma che fossero di Napoli. E lui mi ha proposto la Napoli Mandolin Orchestra. Saranno 4 (in formazione sono 12, ma le restrizioni non consentono “assembramenti”). A Napoli c’è l’Italia intera. Chi non capisce Napoli, non capisce l’Italia». Ci sarebbe anche che Ermal Meta Sanremo l’ha già vinto. Con “Non mi avete fatto niente” (era il 2018 e con Fabrizio Moro ci è pure arrivato all’Eurovision Song Contest), la Critica con “Vietato morire” (nel 2017), le Cover con “Amara terra mia”. Dunque «non è che voglia vincere di nuovo. Vado all’Ariston perché è quello l’unico palco su cui si può salire. E non intendo lanciare messaggi stavolta, il proposito è esclusivamente musicale. Salire, cantare. Ma l’emozione deve attraversare anche la pelle più dura». Basterebbe ricordare che si andrà a cantare dal vivo ma al vuoto. «La platea dell’Ariston è viva (almeno fino a una certa ora). Ma Sanremo non è un concerto, quindi per 3 minuti e mezzo si può sopportare. Il ruolo più difficile è quello dei conduttori, loro dovranno intrattenere per ore (ed ore, ed ore…) senza vedere chi guarda da casa. Solidarietà ai conduttori!». Il Covid ha messo i bastoni tra le ruote a tanti, «ma ci sono ruote più importanti della mia. Ne usciremo diversi, cambiati. Nonostante l’essere umano tenda a dimenticare il brutto, questo ce lo ricorderemo». Insomma, ci sarebbe “Un milione di cose da dirti. Ma non ti dico niente”.

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