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Il Festival si cura con la terza dose di “Amarello”. Ed è subito show FOTO

Fiorello è un fiume in piena: dalle prese in giro ai no vax complottisti al coro per Mattarella. L’Ariston in piedi (un anno dopo) per i Måneskin

La mascherina costellata di pailettes. In mano un termoscanner, come fosse la pistola di uno 007 al tempo del Covid. Fiorello piomba così all’Ariston, consapevole di essere lui il divo del Festival almeno quanto il “fratello” Amadeus sa di vestire sartorialmente i panni dell’anti-divo. Fiore si prende la scena, Ama gliela concede volentieri. Il nastro si riavvolge e, più che a un anno fa, all’edizione più “vuota” di sempre del Festival, riporta le lancette al Sanremo dei record, quello dell’era pre-pandemia, quello che ha reso inossidabile un binomio dal quale, ormai è chiaro, non si può prescindere. Il Festival numero 72 riparte dalle certezze: la prima è “Amarello”, appunto. La seconda è il sacro profanato dal più nudo che vestito Achille Lauro (con tanto di auto-battesimo). La terza è la certezza che un anno fa era crollata: il pubblico. Senza il quale uno spettacolo, qualsiasi esso sia, e il Festival non fa certo eccezione, è un pianoforte senza corde, una radio senza volume, una tavolozza senza colori.

Al Festival serviva una cura

Ecco perché al Festival serviva una cura e quella cura l’ha esplicitata proprio Fiorello, arrivato con la forza di un fiume in piena: «Sono la vostra terza dose, il booster dell’intrattenimento». Alla vigilia i vertici Rai lo avevano detto: sul palco non si parlerà in modo serio della pandemia. Ma nessuno ha detto che non se ne sarebbe parlato. E non è necessario aspettare le mascherine citate da Dargen D’Amico: ci ha pensato proprio Fiorello, chi se non lui, a farlo. No, non in modo serio. Ma la sua presa in giro dei No Vax complottisti («ho il microchip, il grafene... non sono io, sono i poteri forti», mentre agitava compulsivamente il braccio) vale più di una delle mille ospitate di virologi da salotto tv. Poteva poi, il Fiore nazionale, lasciarsi scappare l’occasione di strizzare l’occhio al Quirinale? «Mi sento un po’ come Mattarella – dice –, lui l’anno prossimo voleva fare The Voice Senior, e invece...». E come se se si fosse in uno dei villaggi turistici che hanno plasmato le ossa di Fiorello, ecco partire il coro, intonato da tutta la platea: «Mat-ta-rel-la! Mat-ta-rel-la!». Stavotla “Ciuri” non gioca a tennis con un ingessato (ma elegantissimo) Matteo Berrettini come fece con Djokovic. Ma osa ancora di più: impone letteralmente il bacio sulle labbra (finte, disegnate sulle mascherine) tra Amadeus e il direttore di Rai1 Stefano Coletta: «Porta bene», dice Fiore. Show, senza freni.
Non sembrano esserci freni nemmeno per le lacrime, un altro filo conduttore della serata. Quelle sorprendenti proprio di Amadeus, commosso al suo ingresso sul palco nel rivedere la gente che applaude, sorride, balla, si alza in piedi. Quelle di Gianni Morandi, che torna all’Ariston 22 anni dopo la sua ultima volta in gara, 10 anni dopo la sua conduzione del Festival. Quelle di Ornella Muti, che i temi scottanti nemmeno li sfiora, preferendo i momenti amarcord, da quelli più intimi e familiari ai ricordi di Troisi, Sordi, Tognazzi, Villaggio, Nuti.

Una sorpresa arriva anche dalle lacrime di Damiano, la voce dell’altro fiume che travolge un Ariston alluvionato di spettacolo: i Maneskin. Tocca ad Amadeus, sempre lui, l’anti-divo, vestirsi da autista, mettersi alla guida di una golf car parcheggiata sul green carpet e andarli a prendere direttamente in albergo. Una volta a teatro, si apre un enorme sipario e si scatena il rock puro di una band che è già Storia. Prima del bis con Coraline, per i ragazzi che hanno conquistato il mondo arriva la prima standing ovation del Festival. È quell’abbraccio del pubblico che era mancato loro un anno fa. È un cerchio che si chiude. Ma la metamorfosi dell’Ariston in una discoteca all’arrivo dei Meduza fa capire che, invece, siamo solo all’inizio

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