Che sera dei miracoli la serata delle Cover. Quella dei pezzi dal passato che restano presenti nel futuro, quella degli immortali. Una camminata nella storia che s’infila nella gara. Il tempo per viaggiare nello spazio. Stavolta anche internazionale, grazie all’ennesima intuizione di Amadeus: tradurre per un momento il Festival della Canzone italiana in tutte le lingue di questo mondo. Pescando in quei quattro decenni, dai ‘60 ai ‘90, che hanno approfondito per sempre la musica "leggera" più recente.
E allora vai di Morandi e il suo compare. Se ieri sera il superospite mancava, è arrivato super Jova e ha compensato. “Ragazzo fortunato e “Penso positivo”, “Occhi di ragazza” e “Un mondo d’amore”. Tripudio, tutti in piedi, scatenati: questa coppia non si discute (però cantarsi i propri brani non è che è un tantino autoreferenziale?)
Prima e dopo è stato Mahmood e Blanco, per loro ieri sera ancora brividi. Rifare Gino Paoli salendo su nel cielo pur restando nella sua stanza non era operazione semplice. Elisa limpidissima, lo è sempre, anche in questo giro di danza col flash a fuoco. E quanto è stata bellissima Loredana Bertè, ospite di Achille Lauro ma padrona assoluta della sua canzone. Lei che la voce ce l’ha anche negli occhi e con le corde ha messo all’angolo ogni concorrente. Quanto è stato importante Sangiovanni (se gli si condona l'imprecisione), a muso duro con Fiorella Mannoia per presentare a quelli giovani l’eterna grandezza di Bertoli. E quanto brava Emma nel coreografare la meglio Britney Spears sia nei gesti che nell’arrangiamento, fondamentale e ostinata, ieri la più androgina delle femministe (e dai che finalmente la Michielin è sul palco e giù dal podio, lì dove deve stare). E Noemi? Seduta al pianoforte, accompagnata da tutto il nero della sua voce (in principio un pizzico calante... ma poi è arrivato tutto il graffio, tutto quello che avremmo voluto sentire anche nel suo brano). La Rappresentante di Lista, che con la ormai evidente capacità di virtualizzare, di sintetizzare quello che hanno solo loro, sanno mettersi in relazione con tutti gli altri. Giovanni Truppi con Vinicio Capossela e Mauro Pagani per "Nella mia ora di libertà" di Fabrizio De Andrè. Un capolavoro manovrato con rispetto, trattato, ma non come un oggetto da museo, piuttosto instaurandoci un dialogo.
Poi in un sorso tutto il resto. Dargen D’Amico (che ha scritto una strofa per La bambola di Patty Pravo), Irama (ha rischiato con Grignani. Vabbè che il pezzo è suo, ma se c’è una sicurezza è che Gianluca non è granché rassicurante), Fabrizio Moro. Pino Daniele e la sua Anna, attraverso Massimo Ranieri, insieme a Nek. Iva Zanicchi (per omaggiare Milva), Aka 7even (con Arisa celebrare Alex Baroni) e Matteo Romano (con Malika). Highsnob e Hu a maltrattare Tenco (un po’ come Rkomi ha fatto con Vasco). Sempre lode al piano jazz di Rita Marcotulli (a tratti è parso fosse Yuman ad accompagnare lei). E menzione d’onore a “dirigel'orchestrailmaestroPeppeVessicchio”, guarito e seduto, in veste di pianista de Le Vibrazioni. Rettore e Ditonellapiaga giuste nella scia della loro chimica, Tananai si è portato la Carrà in un oriente disorientato, Ana Mena e Rocco Hunt meno peggio del previsto. E il doppio ricordo di Battisti, quello penetrante di Michele Bravi, quell’altro di Giusy Ferreri.
La serata delle Cover, si sa, è tradizionalmente quella in cui si vota il tocco sull’originale come l’interpretazione. E il pubblico la ama perché è sia occasione che uno stacco. E infatti la quarta puntata di Sanremo questo è stata: lo svago prima del finale. Con la gente in teatro (per strada in auto, davanti alla tv di un ristorante aperto) o sul divano a cantare. Con tante standing ovation quasi quanto sono state le proposte. Coi significati e i significanti di un tesoro che, finché si celebra, non è perduto. Potenzialmente, sarebbe l’unica sera in grado di dar fiato a chi è giù per risalire. Qualcuno ne ha decisamente approfittato, poi c'è sempre chi pensando a strafare si è affossato.
Perché sì, la serata delle Cover è la sera dei miracoli. Ma qualcuno è stato proprio senza Dio.
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