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"Quell'estate in mascherina" e l'Italia che non si arrende: i brillanti fotogrammi di Giovanni Franco

Vedere il reportage del giornalista Giovanni Franco “Quell’estate in mascherina tra timori e speranze, viaggio in un’Italia che non si arrende” è come sfogliare un album di nostre fotografie. Nella luce gioiosa con cui fissa la festa collettiva dello scampato pericolo della scorsa estate, ci siamo proprio tutti. Vedendo le splendide immagini di quella stagione di liberazione, scatta un’immedesimazione con i soggetti fotografati nell’allegria, seppur breve ed effimera, che ci ha investito tutti. Siamo anche noi in questo archivio di gesti e di volti, velati sì da mascherine, ma aperti ad un tempo nuovo, di agognata normalità.

Quei brillanti fotogrammi catturano la sensazione di libertà e di distanza dalla paura, una paralisi innaturale che ci ha portato, inesorabilmente, a vedere l’altro con diffidenza, come vettore di contagio e portatore di un pericolo da cui doversi difendere. Il male ha preso tutti, raggiungendo, come, credo, mai nella storia dell’uomo, una dimensione planetaria. Un’inedita apocalisse ha impietosamente investito tutto il mondo, da Nord a Sud, da Oriente a Occidente.

Guardare perciò gli scatti del “post-quarantena” è come guardare le foto della liberazione dalla fine di una guerra mondiale. Ma il dolce amaro viene dal sapere che dopo quell’estate la diffusione del virus non si è arrestata. Abbiamo cantato un alleluja che era ancora un requiem. Quell’atmosfera di rinascita, che sentiamo anche in questi giorni davanti all’imminente estate, Franco l’ha raccontata con le parole del colore, con la sua calligrafia cromatica che è ormai diventata la sua cifra stilistica. Ha scovato i gialli accesi delle pianure assolate, le note cremisi delle spiagge, i blu vertiginosi degli abissi, le labbra rosse dei baci degli innamorati, i grigi scintillanti dei pesci sui banconi dei mercati. Un mondo riacceso, sotto lo sguardo vergine e stupito di spettatori in mascherina.

Prepariamoci ad un grande investimento emotivo nel guardare queste foto, ma anche ad una presa di coscienza, perché nella sua funzione documentaria, la fotografia che è simulacro e rappresentazione plastica della realtà, ci farà rivedere un anno che passerà alla storia. La macchina fotografica, come nella pandemia aveva ritratto e stigmatizzato il dolore della morte, le fila di carri funebri, i volti segnati dei medici, gli sguardi spaesati dei giovani, l’inquietudine del confinamento, ora, come nessuna parola può fare, fissa i momenti folgoranti della ripresa.

Giovanni Franco il cronista, dunque, lo fa anche con la sua Nikon al collo, dando spazio solo ai fatti, senza caricarli di intellettualismi, interpretazioni e soggettività. Lascia spazio alla luce, alla vita che gli esplode davanti, non si abitua all’ordinario, sgrana gli occhi e mette in esercizio solo la sua curiosità, la sua prontezza a fiutare l’accadimento che gli viene incontro. Il resto lo fa la sua sicura tecnica fotografica. E intercetta ciò che accade e talvolta ciò che accadrà, perché il cronista ha pazienza e lucidità profetica: ciò che aspetta, rivela, prima o poi, un’epifania di bellezza. Il reportage, realizzato in oltre tre mesi in Sicilia, Calabria,  Basilicata, Campania e Umbria, diventerà una mostra, che sarà inaugurata a Messina il mese prossimo.

«Con la mia macchina fotografica ho ritratto alcuni momenti più spensierati di quei giorni - afferma l’autore -. Ne è venuto fuori un catalogo di persone colte in un tour in Italia nei loro momenti di relax o di viaggio. Tutti con la speranza che la vita normale stava per riprendere. Ma ai colori dei miei scatti si sostituirono invece quelli gialli, arancione e rossi che caratterizzarono i divieti nelle regioni in base all’indice Rt dei contagi e delle strutture sanitarie per curare i malati. Con l'attenzione ormai legata ai vaccini».

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