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Senza gambe, con le protesi conquista l'Everest: l'impresa di Andrea Lanfri

Dopo aver vinto la battaglia contro la meningite, ha scalato, grazie alle protesi, gli 8849 metri del Monte Everest. E anziché lasciare, ha scelto di raddoppiare con l’obiettivo di conquistare le vette più alte dei sette continenti. Andrea Lanfri, 35 anni di Sant'Andrea di Compito (Lucca), il 13 maggio è diventato il primo sportivo pluriamputato a raggiungere il tetto del mondo.

Dopo aver vinto la battaglia contro la meningite, ha scalato, grazie alle protesi, gli 8849 metri del Monte Everest. E anziché lasciare, ha scelto di raddoppiare con l’obiettivo di conquistare le vette più alte dei sette continenti. Andrea Lanfri, 35 anni di Sant'Andrea di Compito (Lucca), il 13 maggio è diventato il primo sportivo pluriamputato a raggiungere il tetto del mondo. Una impresa arrivata a -30 gradi, alle 5.40 del mattino, il premio di un lungo lavoro. «Mi alleno da almeno tre anni - racconta Lanfri-. Ho sempre avuto la passione per l’alpinismo solo che prima io facevo "arrampicatine", passami il termine. Dopo è scattata la scintilla, nel 2015 avevo vinto un batterio pericoloso, non poteva farmi paura qualche monte».

Così Andrea ha raggiunto diversi step intermedi come il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Sasso. «Poi ho scalato 7mila metri in Nepal nel 2019 - aggiunge -. Da lì è nato il progetto Everest. È stata una grande emozione, quel monte è unico. Ho visto l’alba più bella della mia vita: per anni ho pensato a quel momento, a capire come avrei reagito, poi sono rimasto senza parole. Io e il mio amico Luca Montanari siamo stati sulla vetta dell’Everest per 15 minuti, dopo abbiamo iniziato a scendere anche perché se la salita è faticosa, la discesa lo è ancora di più. Aggiungo: è pericolosa perché ti senti appagato, rischi di perdere concentrazione». Lanfi adesso si trova a Kathmandu, pronto per tornare in Italia: «Il 21 maggio sarò a casa ma io già penso alle prossime sfide».

Si è appunto messo in testa di scalare le vette più alte dei sette continenti: «L'Everest era forse la meta più difficile da raggiungere - spiega -. Abbiamo trovato per una settimana intera vento, neve: non si poteva marciare. Però non ho mai perso la fiducia anche perché avevo accanto un compagno super: quando fai un viaggio di questo tipo la positività di chi hai accanto è fondamentale e Luca è un grande». La scalata è stata resa possibile anche grazie a due diverse tipologie di protesi, realizzate ad hoc per questa avventura: «Ci vuole forza mentale, ripeto che la meningite mi ha dato una bella scossa - sottolinea, emozionato -. Nel 2015 facevo le mie uscite ma non erano paragonabili a queste. Ho sofferto, mi sono dovuto fermare tre anni. E poi sono ripartito: Italia, Ecuador, Nepal. Ci sono stati momenti di stress, quando non mangi e non bevi per molte ore rischi di perdere la pazienza. Ma il premio finale, quell'alba, vale tutto». A giudicare dalla determinazione quel premio finale per Andrea è soltanto l’inizio di un altro percorso.

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