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Addio a Gianluca Vialli, campione anche fuori dal campo: «Ha affrontato la malattia con coraggio». Funerali privati a Londra

Diceva sempre di non voler morire prima dei genitori, perché il pensiero di far star male i suoi cari lo distruggeva più della malattia che invece lo stava consumando. Girava con un maglione sotto la camicia Gianluca Vialli, un modo - pensava lui - per evitare che gli altri si accorgessero di quel male, quella «cosa brutta di cui avrebbe voluto fare a meno» che gli stava togliendo peso e che alla fine ha vinto, portandoselo via a 58 anni.

A tre settimane dalla scomparsa di Sinisa Mihajlovic il calcio piange un’altra morte choc: l’ex attaccante eroe della Samp degli anni d’oro, esordi con la Cremonese del suo cuore, campione con la maglia della Juventus, in campo e in panchina con il Chelsea, si è arreso al tumore al pancreas che dal 2017 aveva segnato drammaticamente il suo destino. Si è spento in una clinica londinese, dove era stato ricoverato pochi giorni prima di Natale per l’aggravarsi delle sue condizioni: che la situazione stesse precipitando lo aveva fatto intuire anche l'addio alla Nazionale il 14 dicembre in cui aveva annunciato di dover lasciare ogni incarico in azzurro per curarsi.

«Ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia» le sue ultime dichiarazioni pubbliche. Lasciando quell'Italia a cui aveva fatto ritorno per riunirsi all’amico di una vita, Roberto Mancini: loro i gemelli del gol in blucerchiato di nuovo insieme e a cui la vita aveva regalato altre emozioni forti. Culminate nell’europeo vinto a Wembley nel 2021 e racchiuse in una foto che è già storia: un abbraccio fatto di cuore e lacrime che racconta l’amore tra l’attuale ct e Vialli. Vialli, campione di garbo sempre col sorriso sulle labbra, è morto «circondato dalla sua famiglia» (l'anziana madre che in queste ultime settimane ha fatto la spola tra Cremona e Londra), dopo «cinque anni di malattia affrontata con coraggio e dignità. Il suo ricordo e il suo esempio vivranno per sempre nei nostri cuori» il messaggio dei familiari che sempre molto riservati faranno un funerale nella capitale inglese in forma privata.

Lascia la moglie Cathryn, sposata in gran segreto, e le figlie Sofia e Olivia che diceva avrebbe tanto voluto portare all’altare. Perché Vialli a porsi obiettivi non aveva mai rinunciato, nonostante tutto. «Se ti arrendi una volta poi diventa un’abitudine» ripeteva sempre, e invece lui non voleva farlo. «Io ho paura di morire - aveva però confidato in alcune occasioni- Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall’altra parte. Ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire. Mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita». Perché Vialli era così, un «ragazzo italiano» per usare le parole del ricordo di Gianfranco Zola volato in Inghilterra e apprezzato ovunque: un gentiluomo, dai modi garbati, ironico, affabile. Uno che sapeva fare spogliatoio dentro e fuori dal campo. E che con grande dignità aveva affrontato la battaglia con «l'ospite indesiderato», un compagno di viaggio poco gradito e che si augurava si sarebbe stancato di lui. Vialli lo ha affrontato senza perdere il sorriso, nonostante gli occhi scavati e il viso smagrito. Due mesi fa la presentazione del docu-film di Marco Ponti 'La bella stagionè, il racconto per immagini di quella Samp magica capace di arrivare a un passo dal cielo. Vialli e Mancini, sempre insieme anche a raccontare quegli anni fatti di gol e abbracci, di sogni e trofei. Di vita, quella che Vialli ha voluto annusare fino alla fine, con garbo, dicendo alle due adorate figlie che ridere e aiutare gli altri è un pò il senso della felicità. Voleva che tutti quelli che gli stavano intorno fossero felici, per questo la malattia l’aveva vissuta con vergogna, quasi con un senso di colpa. Proprio non si rassegnava all’idea di far male agli altri.

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