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Cara Goggia, non sei sola: tutti gli infortuni dei campioni, tra drammi e miracoli

Piange Sofia Goggia. E stavolta a solcarle il volto sono lacrime amare, di un sapore diverso da quelle versate sui podi di mezza Europa. Di gioia. La dolce Sofia, sbattuta sulla coltre bianca dal destino infame, non potrà partecipare ai Mondiali di Cortina a causa della frattura del piatto tibiale. Un ko serissimo, proprio alla viglia di un appuntamento molto atteso dallo sci italiano e dalla stessa campionessa bergamasca. Consola - neanche troppo - sapere che la Goggia è in buona compagnia. Tanti altri azzurri (ma non solo) hanno attraversato l'inferno prima di tornare trionfanti. Che sia di buona auspicio, cara Sofia.

Maledetta sfortuna: Chechi, Tamberi e Wawrinka

Juri Chechi e gli anelli sono un tutt'uno. Una sorta di prolungamento, i cerchi dei ginnasti, per il compatto campione azzurro. E di lacrime amare ne ha versate anche un inossidabile come lui. Un gravissimo infortunio (rottura del tendine d'Achille) gli ha tolto l'opportunità di partecipare alle Olimpiadi di Barcellona, nel 1992, da assoluto protagonista. Della serie: meglio competere dall'argento in giù per tutti gli avversari di Chechi. E invece in Spagna andò solo nei panni di commentatore televisivo. Secondo molti l'inevitabile canto del cigno di un campione sfortunato (a inizio anni '90 la chirurgia non offriva le stesse garanzie di oggi). Ma il ginnasta di Prato è tornato a sporcarsi le mani con il gesso per la presa qualche mese dopo. Un lungo cammino che lo ha portato a trionfare nei Giochi olimpici successivi, ad Atlanta, nel 1996. Il destino ci ha provato a rimettergli il bastone... tra gli anelli, ma Chechi è “risorto” per la seconda volta anche dopo la rottura del tendine del bicipite brachiale sinistro che lo ha estromesso dalle Olimpiadi di Sidney. Quando nessuno gli dava più credito, il ginnasta toscano ha conquistato un bronzo clamoroso a 34 primavera suonate, quattro anni dopo, in occasione delle Olimpiadi di Atene.

«Ridatemi il mio sogno». Una frase che vale più di mille immagini, uscita dalla bocca di Gianmarco Tamberi, saltatore azzurro che dovette rinunciare ai Giochi olimpici del 2016 a causa di una lesione del legamento della caviglia. Anche lui è tornato a vincere: oro ai campionati indoor di Glasgow nel 2019. All'orizzonte c'è Tokyo. Anche lui meriterebbe un risarcimento... a cinque cerchi.

Restando in tema di Olimpiadi, anche Stan the man, ovvero il tennista svizzero Wawrinka, è stato costretto a rinunciare all'importante appuntamento a causa di un infortunio alla schiena.

Maledette ginocchia: dal Fenomeno a Pepito

In molti credono - a ragion veduta - che senza quella fragilità articolare che ne ha segnato in negativo una carriera comunque straordinaria, Luis Nazario Da Lima sarebbe stato il più forte di tutti. Il più forte di sempre. Già, perché Ronaldo avrebbe potuto inserirsi nel bel mezzo della tiritera Maradona-Pelè. Magari vantando buone chance di poterla spuntare alla faccia degli altri due. Peccato che la sua corazza muscolare non fosse adeguatamente supportata da una “struttura interna” adeguata: motore e design di un suv potentissimo con pneumatici sgonfi. Ecco perché quel ritornello di cui sopra non è stato mai intaccato. Destino amaro e ginocchia di burro anche per Pepito Rossi (tre i gravissimi infortuni subiti). Due, invece, gli interventi chirurgici per  Alessandro Florenzi, Kevin Strootman e Nicolò Zaniolo. A quest'ultimo il fato, travestito da Covid, gli ha voluto offrire un'altra chance... posticipando l'Europeo di un anno. Ce la farà a recuperare?

Recuperi lampo: Baresi, Baggio, Rooney, Valentino Rossi e Nicki Lauda

«In difesa gioca Franco». «Franco chi, Baresi?». «Sì, Baresi». Più o meno questo il dialogo tra la spedizione azzurra scelta per i Mondiali Usa 1994 e il tecnico Arrigo Sacchi. Sì, Franco era proprio Baresi. Nulla di strano nel vederlo in campo in una finale dei Mondiali, se non fosse che meno di una settimana prima, il numero 6 più forte di sempre, era stato operato al ginocchio. Via il menisco ma non il coraggio. Baresi scende in campo da solito dominatore della propria area di competenza, gioca centoventi minuti e si presenta anche dal dischetto per calciare uno dei penalty che ci condanneranno alla sconfitta contro il Brasile. Sarebbe stato troppo. L'ultimo di quei maledetti tiri dagli undici metri lo spedisce alto Roberto Baggio, un altro che di recuperi-lampo (e soprattutto di bisturi - incisi sulla sua pelli - e tempi di recupero) se ne intende. Dopo uno degli interventi al crociato recuperò in.... 76 giorni. Roba da guinness. Wayne Rooney, dopo una frattura al piede destro ha dormito in una tenda... a ossigeno per favorire la riabilitazione in vista dei Mondiali 2006 (stesso utilizzato per gli Europei 2004).

Un capitolo a parte lo merita Vale Rossi: il “dottore” si ripresentò in pista dopo soli 80 giorni dopo la frattura di tibia e perone. Uno spirito diverso quello sfoggiato dagli amanti della velocità. Bastarono appena 40 giorni a Nicki Lauda per riaccomodarsi sul sedile della monoposto dopo un incidente pazzesco (con tanto di rogo della vettura) in quel di Nurburgring.

Miracoli e coraggio: Kaiser Franz e l'aquila... zoppa

A volte il coraggio conta più del... fisico. A qualche atleta è capitato di andare oltre gli steccati dei gravi infortuni. È il caso di Franz Beckenbauer che giocò la leggendaria semifinale dei Mondiali del 1970 contro l'Italia nonostante la funzionalità del braccio fosse completamente compromessa (spalla lussata) a causa di un infortunio. Per intenderci, giocò con un braccio immobilizzato “artigianalmente”, ma ne se accorsero in pochi. Perché in campo era comunque un leader.

Kerri Strug, se possibile, è andata ben oltre Kaiser-Franz. Non solo la ginnasta statunitense riuscì a continuare a gareggiare nel corso delle Olimpiadi di Atlanta 1996, nonostante un grave infortunio alla caviglia, ma si sacrificò scegliendo di saltare un'altra volta per consentire alla “batteria” a stelle e strisce di trionfare. Un ultimo salto, il più doloroso: perché sarebbe ricaduta su un arto dolorante. Il volteggio decisivo è stato un capolavoro di determinazione e classe. Kerri ha così conquistato il punteggio necessario per blindare l'oro delle ragazze statunitensi. Metallo pregiato consegnato direttamente dal suo allenatore che l'ha portata in braccio fino al trionfo e al meritato tributo del popolo di Atlanta.

La beffa a pochi passi dal traguardo: Nedeved, Higuita, Diego e il “pirata”

Gli infortunati, prima o poi, riescono anche a farsene una ragione. Perché, alzandosi dal letto la mattina, capiscono che il dolore fisico è più forte di quello morale. Quando però sono agli altri a decidere per te si fa ancora più dura. E non c'è proprio modo di farsene una ragione. Le squalifiche sono come i punti nel tennis: non hanno tutte lo stesso valore. Per somma di ammonizioni si può saltare un'anonima trasferta di campionato, certo, ma anche una finale di Champions o un Mondiale. Pavel Nedved, Pallone d'oro della Juventus, ad esempio, saltò la finalissima contro il Milan che gli avrebbe concesso di alzare la Coppa dalle grandi orecchie nella stagione 2002-2003. La spuntò il Diavolo, aumentando i rimpianti di Nedved.

Il pittoresco e giullaresco Rene Higuita, portiere colombiano abile a parare con la mossa dello scorpione, invece saltò i Mondiali Usa 94 perché si trovava... in carcere. Quello stesso Mondiale mise la parola fine al Maradona giocatore, inchiodato per doping nel corso della competizione internazionale. Già, il doping: uno spauracchio che tormentò a lungo Marco Pantani. Nessuno lo giudicò mai realmente colpevole, ma la giustizia dell'opinione pubblica aveva già scavato un solco tra il “pirata”  e la serenità. Perché a volte anche il coraggio, da solo, non è sufficiente.

 

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