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Dall'oro olimpico all'oblio: ecco chi è Alex Schwazer, marciatore tradito dai media

Tre lettere, appena tre, fanno la differenza tra le parole “oro” e “oblio”. Nella sostanza, però, in mezzo si apre un solco ampio, ampissimo. Come la differenza che passa tra un atleta che guadagna le prime pagine dei giornali per aver compiuto un’impresa sportiva e un altro piazzato nella stessa identica posizione per aver tradito lo sport e gli sportivi. Quando a finire sulla copertina è la stessa persona, seppur in tempi diversi, il mix può essere devastante.

La storia di Schwazer

Iniziamo dalla fine: giovedì 18 febbraio 2021. Il Gip del tribunale di Bolzano dispone l’archiviazione del processo penale ai danni di Alex Schwazer, accusato di doping. Tutto, però, era cominciato molto prima. Era il 6 agosto del 2012 e la spedizione Azzurra si preparava a raggiungere Londra in occasione dei Giochi Olimpici. «Positivo all’eritropoietina», l’esito delle analisi. L’Epo, per utilizzare un acronimo più conosciuto, è ritenuto una sostanza proibita. Automatica l’estromissione dalla comitiva italiana. E l’oro conquistato, appena quattro anni prima, in occasione dell’Olimpiade di Pechino, perde improvvisamente di peso e valore, anche se Schwazer farà di tutto per tenerselo stretto, dimostrando di essersi presentato al via “pulito”, almeno in quell’occasione.

In una conferenza stampa struggente vuota il sacco. Minuti interminabili per l’atleta di Vipiteno che si apre senza limiti ma non riesce a guardare in faccia i propri interlocutori. Piange e si vergogna. Si scusa con l’allora compagna Carolina Kostner, per aver mentito anche a lei. Inevitabile, oltre all’estromissione dall’Arma dei carabinieri, anche la squalifica (3 anni e 4 mesi). Schwazer non si arrende e sceglie il guru Sandro Donati - in prima linea nella lotta contro il doping - per mostrare al mondo che vuole voltare pagina. Lo reintegra la Nazionale, anche perché i tempi del marciatore altoatesino sono da brividi: l’8 maggio del 2016, a Roma, trionfa nei 50 chilometri di marcia con un crono pazzesco (3h39’).

Rio de Janeiro e i cinque cerchi sembrano a portata di mano, l’incubo pre-londinese ormai alle spalle. Sembrano, perché il realtà il mondo sta nuovamente per crollargli addosso: da un controllo a sorpresa della Iaaf - all’epoca si chiamava così l’Associazione internazionale delle federazioni atletiche - emerge una nuova positività. Non il primo caso - soprattutto nel mondo dell’atletica - e neanche l’ultimo. Peccato che il marciatore altoatesino sia recidivo e reoconfesso (nel 2012, appunto). Come spesso accade - non solo nello sport - il tribunale mediatico è più impietoso di quello “ufficiale”. Schwazer stavolta si difende e grida al complotto, ma nessuno gli crede e i commenti negativi si sprecano. Poco tempo dopo il Tas di Losanna (tribunale sportivo) usa la mano pesante: otto anni di squalifica. Tradotto, carriera finita.

Pochi giorni fa il riscatto, sulla base della sentenza del tribunale di Bolzano. Basterà per consentirgli di essere a Tokyo in tempo? Anche solo trovarsi in gruppo, senza magari brillare in gara, sarebbe il più giusto dei risarcimenti, seppur la World Athletics (ex Iaaf) abbia chiarito che la squalifica non sarà cancellata. Il caso Schwazer testimonia quanto possa essere crudele l’accanimento dell’opinione pubblica: non solo sbagliare non è concesso, ma tirar via le etichette è praticamente impossibile. Baro una volta? Baro tutta la vita. E dire che, pochi anni prima, quella stessa opinione pubblica c’era già cascata con Marco Pantani. Anche in quel caso passato dalla prima pagina della gloria a quella del pubblico ludibrio in un amen. Scusaci Alex, non abbiamo imparato nulla.

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