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Addio a Marco Bollesan, simbolo del rugby italiano

Quarantasette volte azzurro, trentaquattro volte capitano della Nazionale, commissario tecnico alla prima Rugby World Cup del 1987, team manager nelle rassegne iridate del 2003 e del 2007, fondatore delle Zebre nella loro forma originaria di invitational club italiano.
"Leggenda" non è un termine abusato quando lo si lega al nome di Marco Bollesan. Azzurro numero 193, unico rugbista inserito dal Coni nella Walk of Fame che attraversa il Parco del Foro Italico, scomparso ieri sera, 11 aprile, a Genova. Avrebbe compiuto ottant'anni il prossimo 7 luglio.

Dal suo debutto con l’Italia, nemmeno ventiduenne il 14 aprile del 1963 a Grenoble contro la Francia, un’istituzione del rugby azzurro, una bandiera, un simbolo in anni in cui la palla ovale era lontanissima dai riflettori odierni e il Sei Nazioni, per il nostro rugby, più un sogno che un’ambizione.
Nato a Chioggia ma cresciuto a Genova, flanker nelle fila del Cus del capoluogo ligure, dopo essersi imposto come una delle migliori terze linee del panorama nazionale era passato alla Partenope conquistando il titolo di campione d’Italia del 1966 prima di rientrare al suo club d’origine, sfiorando per tre anni il titolo tricolore con i genovesi per poi conquistarlo nel 1975 con la maglia del Brescia, nello stesso anno della sua ultima apparizione in azzurro contro la Cecoslovacchia a Reggio Calabria.

In carriera aveva avuto il privilegio di capitanare l’Italia in occasione dello storico tour sudafricano del 1973, uno dei punti di svolta nella storia della palla ovale nostrana e, nello stesso anno era stato tra i soci fondatori delle Zebre. Nominato commissario tecnico, in tandem con Gianni Franceschini, nel primo mandato della presidenza Mondelli, aveva guidato la Nazionale alla prima Rugby World Cup del 1987 in Nuova Zelanda, sfiorando l’accesso ai quarti di finale. Tra il 2002 ed il 2008 era rientrato nello staff della Nazionale come Team Manager durante le gestioni di John Kirwan e Pierre Berbizier, ultimi passi professionali di una vita interamente dedicata al servizio del rugby italiano.

«Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli anni '60 e gli anni '80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio - ha dichiarato il presidente della Fir, Marzio Innocenti, esprimendo il cordoglio della Federazione - l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996, incarnando lo spirito del rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da commissario tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia - ha concluso - il rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti»

«Il mio pensiero va a Massimo Cuttitta che ieri se ne è andato e anche a Marco Bollesan: la famiglia del rugby piange due grandi campioni», è il ricordo del capo dello sport italiano, Giovanni Malagò, durante la cerimonia per la presentazione delle sedi Italiane riconosciute Città/Comuni/Comunità Europee dello Sport 2021-2022 organizzata al Salone d’Onore del Coni.

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