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Larissa Iapichino, l’elogio della normalità. Prosegue la preparazione al "d'Alcontres" di Barcellona

Intervista alla 19enne stellina del lungo, figlia di Fiona May, che nel 2021 (prima d’infortunarsi) ha realizzato una serie di clamorosi exploit

Una predestinata, il talento più fulgido dell’atletica leggera e, con i tennisti Sinner e Musetti, dello sport italiano. Sul 2021 dominato dai colori azzurri, c’è anche la firma della 19enne lunghista Larissa Iapichino che nella prima parte della stagione si è resa protagonista di un’impresa dopo l’altra, prima che - sul più bello - un maledetto infortunio al piede le precludesse di partecipare alla festa olimpica di Tokyo.
Testa, gambe, cuore e ovviamente tanto Dna: la figlia della regina Fiona May e dell’ex nazionale dell’asta Gianni Iapichino, diventato da pochi mesi il suo tecnico, per ripartire di slancio verso un 2022 ricco di importanti appuntamenti, ha scelto pista, pedana, palestra e accoglienza siciliane.
Da settembre sei ospite di prestigio al “D’Alcontres” di Barcellona per la preparazione. Ci spieghi i motivi di questa sorprendente decisione?
«Soprattutto per il clima, che è ben differente da quello freddo di Firenze. Ogni mese mi sto allenando qui per un intenso periodo e l’ambiente caldo mi ha tanto aiutata. Ho trovato un posto tranquillo dove trascorrere le mie giornate agonistiche e la preziosa collaborazione di Emanuele Torre mi sta consentendo di svolgere al massimo la mia attività. Insomma, scelta migliore non potevo compiere».
Un bilancio di questa fase?
«Sono molto soddisfatta, la preparazione con papà è andata bene, secondo i programmi. Già da fine estate ho recuperato dal problema alla caviglia e il lavoro che ho anche avviato con un mental coach si è rivelato fondamentale per affrontare la ripresa post-infortunio. Adesso l’obiettivo prioritario è saltare, al coperto prima e all’aperto poi, perché è da troppo tempo che non avviene. Ho voglia di competizione, anche se non ho ansia».
Prima delle mirabilie azzurre ai Giochi, l’atletica per alcuni mesi è stata identificata (solo o quasi) con il tuo nome, grazie a una escalation clamorosa di risultati ottenuti ad appena 18 anni. Una pressione non indifferente con la quale convivere, le luci della ribalta su di te saranno inevitabili...
«Nella prima parte della stagione ho vissuto momenti straordinari. Un exploit, il mio, un po’ troppo “chiacchierato” e che, forse, poteva essere accompagnato da una maggiore serenità a livello mediatico. C’è un comprensibile carico di aspettative quando gareggio - e dovrò abituarmi - mentre a me piace muovermi in punta di piedi, senza eccessivi clamori».
Intanto, dopo la Maturità ti sei iscritta in Giurisprudenza all’Università di Firenze con l’obiettivo di fare, anche nello studio, le cose per bene.
«I miei genitori mi hanno insegnato che nella vita ci vuole anche un piano B. Continuare a studiare è stata una parola d’ordine e io voglio provare a ottenere sempre il meglio. Mi sto organizzando per gestire le materie da sola e, soprattutto, per partire bene sin dai primi esami».
Hai due genitori che nello sport costituiscono un esempio: per la tua crescita tecnica e umana, questa è una vera fortuna.
«Sono un punto di riferimento per i grandi risultati che hanno centrato e per il patrimonio di esperienza a livello internazionale che mi stanno trasferendo. Mi sono costantemente vicini con i loro consigli e sin da quando ero piccola ascolto i racconti delle loro carriere per capire come comportarmi. Sì, è proprio una grande fortuna».
L’atletica italiana ha dominato, tra l’orgoglio e la sorpresa assoluta, le Olimpiadi: davanti alla tv quante emozioni hai provato per quella maglia azzurra che tu, solo per sfortuna, non hai potuto indossare a Tokyo?
«Per me - amarezza a parte - ci sarà ancora tempo, mentre per l’Italia sono state giornate che resteranno nella storia dello sport e che, forse, sarà difficile ripetere sul palcoscenico dei Giochi, anche se spero di poterle rivivere. Per chi come me è cresciuta nel mito di Bolt, assistere ai continui trionfi nella velocità è stato incredibile».
La doppietta di Jacobs, il salto di Tamberi o l’ultima frazione di Tortu nella staffetta?
«Non me ne vogliano gli altri due fantastici azzurri, ma scelgo la vittoria del mio idolo Tamberi. Quando prima di Rio 2016 si è fatto male a Montecarlo io c’ero, l’ho visto piangere e poi, facendo il tifo, ho seguito il suo recupero. Lo strepitoso salto che lo ha portato alla medaglia d’oro, la condivisione del 1° posto e l’abbraccio con l’amico Barshim, il mostrare al mondo il gambaletto di gesso, cancellando così la sofferenza, sono immagini che mi hanno commosso. È stata pura magia».
Quando sei in Sicilia, pochi chilometri ti dividono dal tuo fidanzato Vittorio Bartoli che veste la canottiera dell’Orlandina. È anche per lui che hai scelto Barcellona.
«Definiamola una piacevole coincidenza. Vittorio nella sua crescita cestistica sta giocando importanti minuti in A2 a Capo d’Orlando che, per tradizione, può rappresentare per un giovane un bel trampolino di lancio».
Il tuo programma di avvicinamento al clou dei Mondiali indoor di Belgrado (18-20 marzo)?
«Da Barcellona salirò ad Ancona per un raduno con la Nazionale di 10 giorni. Poi, dopo il debutto in una gara internazionale sempre nelle Marche e i campionati italiani Under 23, un bel banco di prova internazionale sarà il meeting di Torun in Polonia, prima dei tricolori assoluti che rappresenteranno una verifica importante sulla strada che poi mi porterà in Serbia».

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