Domenica 22 Dicembre 2024

Lo sport è ‘malato’ ma “A casa tutti bene”. Tra Covid, falsi miti, ipocrisie e il marchese del grillo ‘No-vak’

Alcuni attori della serie Sky A casa tutti bene
L’immenso Albero Sordi (Il marchese del grillo)
 
Lukaku Inter
 

Ma basta con questa farsa della famiglia perfetta: ci siamo odiati tutta la vita, ma non lo vedi come siamo ridotti? Non c'è nessuno felice qui”. In questo sfogo è racchiuso tutto il significato della nuova serie tv, targata Sky e firmata da Gabriele Muccino, che sta spopolando a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, “A casa tutti bene”: una frase di maniera, classico esempio di come un'affermazione possa significare... il suo esatto contrario. Perché in realtà, e gli amanti della fiction di 8 puntate ripresa da un film del 2018 lo sanno, non c'è proprio nulla che “va bene”. Tutto poggia su basi solide solo in apparenza, ma che in realtà compongono un'architrave di burro che attende solo di sfracellarsi. Quelle che agli occhi degli altri rappresentano certezze sono menzogne destinate a venire a galla e travolgere tutto.

Paradigma perfetto per descrivere lo sport oggi, quello che “sulla carta” è di tutti, per tutti e con tutti. Perché va tutto bene, ma il giochino era bello che noto da tempo e l'emergenza sanitaria ha solo contribuito a smascherarlo definitivamente. Supporter di calcio internazionale e addetti ai lavori, scandalizzati dalla proposta della Super Lega a firma dei potenti del mondo (idea per fortuna tramontata, anche se il calcio e lo sport andranno prima o poi in questa direzione: piaccia o no sarà così), in precedenza hanno accettato il ritorno in campo delle squadre nei deserti degli stadi senza pubblico (dopo un paio di settimane di blanda protesta e, a posteriori, ipocrita). Senza i tifosi che comunque “sono il sale di questo sport”. Balle, perché in realtà la giostra è andata avanti senza di loro e senza che nessuno abbia battuto ciglio. “Però la Superlega è una scelta elitaria intollerabile...”.

Il caso “No-vak”

Succederà ancora perché è già successo. Anzi sta succedendo, alla luce del caso Djokovic. Non proprio il vicino di casa della porta accanto o il professore di scuola precario che cerca di sbarcare il lunario, ma il numero 1 del tennis mondiale. Un totem in grado, a suon di Slam, di far vacillare la supremazia di Federer e Nadal. Il classico “terzo incomodo” che nell'atavica domanda su chi sia il più più forte della storia tra il maestro svizzero e il mancino di Maiorca si pone come risposta alternativa. Uno così, per intenderci, dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto, perfetto, “idolatrabile”. Un mito. L'influencer degli influencer. O, per i detrattori del linguaggio anglofono, un esempio. E proprio per questo ciò che accade in questi giorni è inquietante quasi quanto il post di Djokovic che annuncia sui social, con un bel sorriso largo e tronfio, la sua partecipazione agli Australian Open pur non avendo chiarito la propria posizione riguardo alla vaccinazione anti-Covid. “Parteciperò al primo slam stagionale. E lo farò grazie a un'esenzione”. Pure in questo caso, l'indignazione durerà fino a quando le palline non inizieranno a rimbalzare da una parte all'altra della rete. La cinematografia italiana ci viene nuovamente in supporto con un capolavoro più nobile (e nobiliare...) ovvero “Il marchese del grillo”. Già, perché con quel post impreziosito dalla foto sorridente mentre sta per imbarcarsi verso l'Australia, Novak somigliava tremendamente ad Alberto Sordi mentre balza sulla carrozza: “Mi dispiace, ma io so io e voi non siete un c...”.

Lorenzo il Magnifico (traditore)

Magari i soldi non faranno la felicità, ma qualcosa fanno alla luce di come va il mondo. Anche in periodo di pandemia, con i conti in rosso e i debiti fino al collo, il calcio e i calciatori se ne infischiano. Le ultime bandiere si sono ammainate tempo fa, perché oggi non ne sventolano più. E ancora qualcuno si ostina ad “adottare” quello o quell'altro idolo. L'ultima a rimanere scottata, ma solo in ordine cronologico, è Napoli. La città che meno merita di essere tradita, per giunta da un figliolo, tanto è l'amore che i partenopei dispensano a vagonate a chiunque indossi la maglia azzurra. Così, per partito preso. Figuriamoci quanto possa essere truce essere pugnalati dal figliolo di cui sopra. E quello che per anni è stato Lorenzo il magnifico si è tutto a un tratto trasformato in Insigne l'ingrato. Che a 30 anni, mica 50, ha scelto l'esperienza oltre oceano, in Canada. E nessuno si azzardi a raccontare la storiella della “sfida professionale”, della “nuova frontiera del calcio internazionale” perché anche il più cieco degli amanti si accorgerebbe dello smacco. Il figlio di Napoli, Napoli l'ha lasciata perché l'offerta economica dei canadesi è più conveniente. Stop.

Ti amo, poi di odio, poi ti amo e poi ti odio...

Lukaku è Grande, Grande, Grande. Non a caso lo chiamano Big Rom. Ma ci è cascato anche lui, con tutte le scarpe. L'attaccante belga ha impiegato anni a far trasparire un'immagine di sé genuina e ammirevole (dopo aver vissuto una storia commovente, una mosca bianca nel firmamento cinico e materiale del calcio di oggi) e pochi mesi per finire nella categoria “Come tutti gli altri”. Sia chiaro, puntare a migliorarsi, anche economicamente, non è un delitto. Semmai a stonare sono le dichiarazioni d'amore, i baci alla maglia, le sfilate in mezzo alla “mia gente”. Perché Big Rom, è scappato via dalla sua felicità platonica (l'amore per Milano e gli interisti) per abbracciare la felicità materiale dei soldi. Salvo poi, con una piroetta degna del miglior Bolle, tornare a sbavare per l'amata ante pecunia. Il risultato? Perdere... entrambe. Perché senza quell'intervista, paradossalmente, il popolo interista - alla lunga - avrebbe perdonato la fuitina londinese e i nuovi tifosi del Chelsea non lo avrebbero sulle scatole. Oggi è riuscito a scontentare tutti. Soprattutto se stesso.

Il calcio sta bene

Finalino riservato alla conta dei positivi al Covid in serie A. E c'è ancora chi si meraviglia che, col passare dei minuti, crescano. Ma tanto non c'è trippa per gatti: si gioca comunque, salvo qualche veto imposto qua e là dalle Asl. E magari tra un po', dopo averne ridotto la capienza, richiuderanno gli stadi e sigilleranno di nuovo la passione. Ma anche stavolta starà bene a tutti. Perché il calcio è ufficialmente “immune”, il calcio sta bene.

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