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Federer e "the last dance": nelle lacrime la forza degli uomini (e dei campioni)

Solo chi non conosce la fatica dello sport, la solitudine dell’ascesa, la frustrazione della sconfitta, l’ebbrezza della vittoria, l’ansia dell’attesa, stenta a comprendere il valore liberatorio, catartico, delle lacrime. Liberatorie e accomunanti, se la fatica e il dolore che esse comportano sono condivise.
Le lacrime di Roger e Rafa, la commozione di Nole e Andy, l’empatia di Matteo, lo sbigottimento di Bjorn e John - li chiameremo tutti per nome, perché fanno parte della nostra vita -, in quel tempio chiuso del tennis che è l’Arena di Londra, non devono sorprenderci: la quintessenza della bellezza tennistica che giunge al traguardo dell’esistenza agonistica e che non prospetta il viale dei cipressi sportivo, ma una nuova alba esistenziale. Che è vita sfrondata dal ramo dei turbamenti che la competizione ai livelli più esasperati comporta.
Roger e e Rafa, nella loro esibizione finale, volutamente condivisa, hanno ripassato in filigrana tra le pieghe delle menti e dei ricordi, minate le prime e costellati i secondi di battaglie al calor bianco, il film di due vite. Di due carriere straordinarie, l’una incrociata con l’altra, vagoni congiunti di un destino parallelo trascinato dalla motrice impetuosa del talento che sfibra i corpi quando ti avvicini ai “quaranta”. Perché il “Tempo passa in fretta” e Tristano muore”, ha insegnato Tabucchi, e ogni momento va vissuto nell’attimo in cui qualcosa accade. E le lacrime sono stille del tempo, la consapevolezza di un’apparente abdicazione che si trasforma in forza e resilienza.
Il capolinea di Roger è presagio del “fine corsa” di Rafa, e poi, ineluttabilmente, del “filo di lana” sul traguardo di Nole, di Andy - che lotta ancora per spostarlo un po’ più in avanti -, di Stan, e - arriverà anche quel giorno - di Matteo. E chissà se ci saranno ancora Bjorn e John a rendergli omaggio supremo.
Le lacrime di Roger e Rafa sono state condivise, il mondo ne è stato compartecipe, ma non sono diverse da quelle che Juan Martin Del Potro, altro splendido esemplare di tennista, ha versato a Buenos Aires lo scorso febbraio, dopo la sua ultima, avvilente e solitaria, partita d’addio. Ma quelle lacrime sono anche la nostra vita che passa, la nostra gioventù perduta, la consapevolezza di ciò che è andato e di quel che verrà. In una società, quella occidentale, in cui è “obbligatorio” dare dimostrazione di forza e ferocia, obnubilata e ossessionata dal successo e dall’apparenza, le lacrime non sono concesse. E invece gli uomini autenticamente forti non temono l’emozione, non frenano il ruscello emotivo che trova una voce negli occhi dopo aver percorso i canali dell’anima cui non sempre puoi porre argine.
Ringraziamo da due decenni Roger e Rafa per quello che ci hanno fatto vedere sul campo, li ricorderemo anche per le loro lacrime condivise. Una fortuna essere stati loro contemporanei. Piangere si può e si deve, meglio se accanto hai un amico - che è stato il tuo acerrimo avversario - o una persona che ti apprezza. La dolcezza salverà il mondo, perché solo le emozioni pacificano.

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