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Mihajlovic e l'ultima punizione sulla barriera. Con Sinisa se ne va l'elogio della schiettezza

Qualcuno sostiene che sia il viaggio a contare molto più della meta. E nel caso di Siniša Mihajlović è sicuramente così. Perché quest'ultima tappa proprio non piace a nessuno. Quasi come se il guerriero di tante battaglie (calcistiche) si sia trovato disarmato e inerme di fronte alla guerra (contro la malattia). E invece Siniša Mihajlović - si scrive così il suo nome, a voler sottolineare le sue origini slave - non passerà mai alla storia per questa “sconfitta”. Perché il suo di viaggio è stato talmente bello da bastare a se stesso. Da obnubilare il triste epilogo e issarsi sopra il freddo marmo che sancisce il passaggio ad altra vita. Perché la sua - di vita - Siniša l'ha riempita di emozioni, stimoli e tante incazzature. Incazzature tipiche di chi sa che le cose potrebbero andar meglio e fa di tutto per cambiare il vento. Proprio come quel don Chischiotte che s'intestardiva a duellare contro i mulini a vento. Perché il giocatore e tecnico serbo - proprio ci risulta innaturale declinarne la descrizione al passato - spesso era consapevole di combattere battaglie più grandi di lui, ma l'atteggiamento non cambiava: elmetto in testa e sguardo fiero. Sarà per quel suo retroterra colmo di sofferenza e orgoglio, in una Serbia costantemente sotto bombardamenti. Perché vivere in determinati momenti storici, a certe latitudini, ti cambia. Ti tempra. E di temperamento Mihajlovic ne aveva - ecco, ci siamo cascati anche noi con il tempo verbale più triste - in sovrabbondanza. Ma soprattutto era un uomo schietto, che non le mandava a dire. Ai giocatori, ma anche durante le conferenze stampa. Magari anche ai generi delle sue splendide figlie o alla fedele compagna di un'intera esistenza, Arianna. Ecco perché più che quest'ultima punizione che si è tristemente infranta su una barriera troppo alta anche per le sue micidiali schioppettate mancine, di Siniša, è bello raccontare la lunga “azione” che l'ha preceduta. E nell'immaginario di chi si è calcisticamente innamorato del campione serbo, quella parabola - la barriera - la scavalca. E va a morire negli angoli più reconditi della rete avversaria. Come sempre. Perché Siniša lo schietto ci ha abituato troppo bene. Troppo bene da immaginarcelo come immortale.

 

 

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