Una pagina di storia illustrata. È quello che il mondo ha visto nella lunga diretta tv dei funerali della Regina Elisabetta II, perché, al di là dell’evento praticamente inedito, ha offerto l’occasione per comprendere attraverso i simboli e, nella scansione dei tempi e dei passi, ha reso il concetto della solennità nella accezione più alta. Superfluo parlare della imponente macchina organizzativa che in dieci giorni ha messo in piedi una rappresentazione che doveva compendiare le esigenze del rigido cerimoniale con quello essenziale della sicurezza, e che ha costretto teste coronate e governanti di tutta la Terra ad abbandonare le loro prerogative per essere trasportati su torpedoni. Meglio di una qualsiasi produzione hollywoodiana, lo spettacolo ha mostrato la scenografia di una Londra immobile, nella quale le scene di massa erano il tributo del popolo accalcato lungo il percorso del feretro, la coreografia imponente e solenne dei cortei reali, la colonna sonora di cornamuse, colpi di cannone, rintocchi di campane, passi cadenzati e rispettoso silenzio. La trama, quella del regno che è stato e di quello che verrà, perché se Elisabetta II era una certezza Carlo III per molti rappresenta una incognita. Altri, però, erano i sottotesti della cerimonia che rivelano molto di un Paese proiettato nel futuro ma che onora la tradizione anche nei costumi medievali che non fanno parte della rappresentazione ma della storia, primo fra tutti l’eccezionale rispetto da parte del popolo che si è riversato nelle strade di Londra e Windsor, l’entrata dei primi ministri in rigoroso ordine cronologico, la presenza composta dei figli di William a segnare una continuità che rassicura il popolo. Bisognava leggere fra il non detto del protocollo per appropriarsi delle tensioni familiari, con Harry, unico a serrare le labbra mentre tutti intonavano “God save the King”, per guardare in controluce i sentimenti religiosi di Elisabetta II attraverso le letture che aveva scelto personalmente per il suo ufficio funebre, e per fissare la ieraticità del momento in cui la bara veniva spogliata dai simboli del regno terreno e spezzato il bastone utilizzato per bussare alla porta del Parlamento inglese. Al ragno, che si è arrampicato sul biglietto vergato a mano da Carlo (probabilmente con una penna a sfera), invece, il compito di ricordare che la monarchia per gli inglesi non è una polverosa istituzione ma una tela che, evidentemente, li fa sentire protetti. Resta, invece, un attimo sospeso nel tempo quello in cui, celata alle telecamere e restituita alla sacralità della morte, la bara è stata calata nella cripta, mentre il cornamusiere, suonando si allontanava dalla cappella, quasi come una scena in dissolvenza.