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Dal linguaggio alla lotta agli stereotipi, contro la violenza sulle donne serve rivoluzione culturale

(di Alessandra Magliaro) Usare le parole giuste, contrastare gli stereotipi, attuare la par condicio di genere e dunque educare alla parità. E' ancora una volta una rivoluzione culturale, dal linguaggio alle abitudini, quella che può produrre il cambiamento reale della società. Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne ed è il momento per ragionare sui passi fatti e da fare. Il bilancio in termini di cronaca è drammatico seppure lievemente meno del 2016 - 8.480 nel periodo tra gennaio e settembre 2017 le denunce per stalking, di cui oltre il 72% in danno di donne (in calo del 15,76%), i maltrattamenti in famiglia (di cui circa il 79 % in danno delle donne) sono stati 9.818, le violenze sessuali (di cui oltre il 90% in danno delle donne) 3.059, reati considerati dalla Polizia 'reati spia' e "indici importanti di un rapporto uomo-donna malato, che può pericolosamente degenerare". Ma alcuni segnali positivi si possono cogliere, primo fra tutti la grande mobilitazione spontanea delle donne sul tema delle molestie e degli abusi sull'onda del caso Harvey Weinstein.

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I media, cui l'Autorità per le comunicazioni ha raccomandato di non spettacolarizzare questi temi, invitando ancora una volta ad usare i termini giusti, sono coinvolti, sono una sorta di prima linea contro la violenza sulle donne nel momento in cui con consapevolezza e responsabilità raccontano questi temi.

Le parole giuste per raccoltare la violenza contro le donne sono uno dei tanti passi da fare e che si possono fare. Il Manifesto di Venezia,  promosso dalla Commissione Pari Opportunità della Federazione nazionale della stampa italiana con altri sindacati e l'associazione Giulia giornaliste, ha raccolto oltre 700 adesioni, ma quel che più è importante ha messo l'informazione al centro della rivoluzione culturale che può contrastare la violenza sulle donne.

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Le parole hanno un peso: utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale (è il quinto punto del manifesto), sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi subisce e a chi esercita la violenza (è il sesto); evitare: a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili; b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento; c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”; d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via. e) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto della sua persona (è il 10 fondamentale punto del Manifesto di Venezia).

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«La violenza maschile contro le donne è frutto di una cultura diffusa che incide sulle relazioni, le rappresentazioni e le soggettività e non può essere ridotta a una devianza o a spinta criminale di una minoranza. Il lavoro nelle scuole e quello culturale per un mutamento nel maschile sono parte di un impegno integrato contro la violenza, per conoscere le sue cause e per la promozione di un cambiamento nelle relazioni tra i generi: sessismo, modalità di delegittimazione delle donne sono situazioni che abbiamo sperimentato nella vita di tutti i giorni e che possiamo contrastare in prima persona», ha detto Stefano Ciccone, dell’Associazione Maschile Plurale, che assieme a Chiara Volpato ha partecipato ad ottobre 2017 Convegno Erickson “Affrontare la violenza sulle donne”.

Per contrastare la violenza sulle donne occorre, quindi avviare un importante cambiamento culturale per raggiungere una consapevolezza – anche tra professionisti, come operatori e insegnanti, giornalisti… - che consenta di riconoscere stereotipi così radicati nella nostra società da diventare talvolta invisibili. "Questo cambiamento culturale può essere messo in moto anche attraverso i media, ad esempio attraverso ritratti realistici e non parziali di uomini e donne.  Senza dimenticare il ruolo dell’educazione di genere con bambini e adolescenti, che può essere un potente strumento per promuovere un cambiamento nelle nuove generazioni, fungendo da fattore di protezione per tentare di aggredire le radici culturali della violenza di genere".

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