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Marco e l'osteosarcoma, la fiducia nelle cure è fondamentale

"Era il 1981 e avevo da poco compiuto 18 anni. Lavoravo ad Anzio in un albergo e ho iniziato ad avere dolore fortissimo e un rigonfiamento nella parte interna del ginocchio". Classe 1963, Marco lavora oggi come impiegato in Tribunale, ha moglie e due figli, vive a Viterbo e ha finalmente iniziato a parlare, senza tabù, della sua malattia. Sono passati 37 anni da quando gli venne diagnosticato un osteosarcoma, raro tumore delle ossa che colpisce spesso i più giovani ed è in genere molto aggressivo. "La mia famiglia mi ha supportato in tutti i modi, non mi sono mai sentito solo", racconta. "Dopo alcune settimane dalla comparsa del dolore, iniziai a non camminare più per le fitte, e solo allora mi decisi ad andare da un medico. Mai avrei pensato potesse trattarsi di un tumore, di questi temi allora si parlava pochissimo".
    All'ospedale di Latina lo ricoverarono subito per accertamenti, con decine di lastre per capire cosa fosse. "Mi dissero: non è cosa per noi. O va in Francia o a Bologna. Scelsi la seconda, e così a luglio 1981 partii verso l'Istituto Ortopedico Rizzoli, dove venni visitato da un luminare dell'epoca, il professore Mario Campanacci". Fu allora che, dopo due biopsie, Marco ricevette per la prima volta la diagnosi: osteosarcoma al quarto stadio al ginocchio. "Una settimana dopo e sarebbe stato troppo tardi, devo ringraziare mia zia, che mi spinto ad andare dal medico".
    I chirurghi asportarono il ginocchio salvando la gamba.
    Seguirono 9 mesi di chemioterapia viaggiando su e giù per l'Italia, ma al quindicesimo ciclo decisero di interromperla per problemi legati al cuore. "All'epoca di cancro si moriva ancora più di oggi. E sfortunatamente il mio tumore aveva un alto rischio di recidiva. E in effetti tanti ragazzi, miei coetanei, con cui avevo affrontato le cure al Rizzoli non ce l'hanno fatta. Me li ricordo ancora tutti, abbiamo passato 9 mesi fianco a fianco. Ne parlavo solo con loro del mio tumore". Furono anni difficili, prosegue, "durante i quali mi aiutó confrontarmi con gli esperti di oncologia integrata, che mi consigliarono di affiancare alle terapie mediche, sostanze come la vitamina C e sali minerali per potenziare il sistema immunitario. E soprattutto mi insegnarono a curare bene l'alimentazione, a fare attenzione a ciò che mangiavo, evitando zuccheri raffinati e riducendo latticini e carni rosse. Nel 1988-89 i medici finalmente mi dissero l'unica cosa che volevo sentirmi dire: potevo pensare a ricostruirmi una vita normale". Da allora sono seguiti tre interventi per la sostituzione della protesi al ginocchio, ma anche un matrimonio, un cambio di lavoro, un trasloco e due figli oggi ventenni. "Inizialmente non avevo capito la gravità della cosa, neppure durante la chemio.
    Forse non volevo capirlo. Per anni non sono riuscito a parlare con gli altri della malattia, era un misto di paura e vergogna insieme, cercavo di nasconderla". Oggi Marco ha 55 anni. "Posso dire che il tumore mi ha aiutato ad affrontare la vita. Ma in tutto questo la fortuna è stata quella di avere un sostegno enorme da cugini, zie e tutta la famiglia: mi hanno aiutato a non chiudermi, a continuare a vivere giorno per giorno. E fondamentale per me è stato credere davvero che avrei potuto farcela, che le terapie sarebbero servite. Il messaggio che mi piacerebbe arrivasse a chi ora sta affrontando questo percorso, è che la fiducia nelle cure è già una cura".
   

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