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Francesco, diventerò ricercatore per aiutare i pazienti

 "Laurearmi in farmacologia e diventare un ricercatore per mettere a punto terapie oncologiche sempre meno pesanti da sopportare per i pazienti: questo l'obiettivo con cui mi sveglio ogni mattina". Ha 21 anni e un grande sogno nel cassetto, Francesco, un ragazzo di Gualdo Cattaneo (Todi), originario della Campania. Ma fino a tre anni fa non avrebbe scommesso di riuscire a venire a capo della malattia, che lo ha colpito a soli 16 anni.
    A rivelare i primi sintomi sono stati gli occhi. "A dicembre 2013 ho iniziato a avvertire diplopia, ancora non sapevo cosa volesse dire questo nome ma vedevo incrociato; poi cominciarono le nausee al mattino e fortissime emicranie. Feci una visita oculistica nel febbraio 2014 e nel fondo oculare si intravide un edema". Seguì una risonanza magnetica d'urgenza, da cui emerse un germinoma cranico, una massa tumorale dietro il nervo ottico. "Avevo 16 anni e i miei genitori mi dissero che avevo semplicemente una ciste per non allarmarmi. A Perugia non c'era la neurochirurgia infantile e per questo mi ricoverarono al Policlinico Gemelli a Roma". Qui venne subito operato di idrocefalo causato dal tumore, quindi la radioterapia 5 giorni a settimana. "All'epoca papà era in Umbria con mia sorella più piccolina mentre io vivevo con mamma a Roma, ospiti in una casa alloggio messa a disposizione dall'Associazione Genitori Oncologia Pediatrica (Agop). Fu un periodo veramente difficile.
   

Ricordo bene l'undicesimo piano del Gemelli dove, dopo la radioterapia, studiavo italiano, matematica e inglese.
   

Contattavo i professori con un messaggio e ci mettevamo d'accordo di volta in volta per le lezioni, chiedevo che cosa facevano i miei compagni di scuola, per poter andare avanti di pari passo con il programma portato avanti dalla mia classe. Per me era principalmente una distrazione, un modo per uscire mentalmente dall'ospedale, e soprattutto solo in quei momenti avevo l'impressione che la mia vita fosse quella di un ragazzo normale". Ma fu proprio grazie alle lezioni in corsia che ottenne la promozione al quarto anno del liceo scientifico. "Mi svegliavo prestissimo, ero gonfio a causa dal cortisone, stremato dalle terapie, confuso rispetto al futuro. Ma dopo un mese, la massa era scomparsa, potei tornare a casa e ritrovare la normalità, ma arricchito di una grande lezione: imparare a non dare nulla per scontato nella vita".

Dopo poco più di un anno però, iniziarono a comparire dei lividi sul corpo e coaguli di sangue sulle labbra. Da un emocromo emersero piastrine bassissime, stava rischiando un'emorragia a causa di una leucemia mieloide acuta promielocitica. "In quel momento ho pianto di rabbia: era il quinto anno, quello della maturità, ci tenevo ad affrontare bene l'esame. E invece ero ricascato nel tunnel. Per un mese restai sconfortato, non vedevo la via d'uscita. Tornai al Gemelli per curarmi, stavolta nel reparto di ematologia". Lì iniziarono trasfusioni di sangue, quattro cicli di chemioterapia, vomito, i capelli avevano ricominciato a cadere, i disagi erano tantissimi, la tensione anche. Poi l'inizio di una nuova cura, con un farmaco immunoterapico, stavolta con effetti collaterali molto meno forti. "Si avvicinavano intanto gli esami di maturità e io decisi che dovevo impegnarmi al massimo per superarli, iniziai a preparare la tesina proprio in ospedale. Presi 78 su 100, un voto accettabile considerando quello che avevo passato.

L'ultimo giorno in ospedale, dopo otto mesi, salutai con il cuore in mano i professori che mi avevano accompagnato in quell'avventura e che mia avevano spronato, con dolcezza e sensibilità, ad andare avanti in un momento di grande sofferenza. Mi salutarono regalandomi la maglietta della mia squadra preferita, il Napoli e augurandomi di 'non rivederci più'". Quindi ora un nuovo obiettivo, iscriversi alla Facoltà di Chimica farmaceutica a Perugia e diventare ricercatore. Oggi è al terzo anno di Università. Per il papà, falegname, e la mamma, casalinga, un sogno che si realizza. "L'amore per lo studio già lo avevo - conclude - ma in ospedale mi è diventato chiaro che volevo studiare per dare il mio contributo nel trovare cure oncologiche sempre meno invasive". (ANSA).
   

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