Paura per un'esplosione in un laboratorio russo: l'edificio ospita virus letali come ebola e vaiolo
Un’esplosione, a cui ha fatto seguito un incendio, si è verificata martedì nel Centro di ricerche in virologia e biotecnologie Vector di Koltsovo, a 25 chilometri da Novosibirsk, in Russia. Nell’istituto sono conservati campioni dei virus più letali, da Ebola al vaiolo, ma anche spore di antrace. A causa del grave incidente un operaio è stato ricoverato con ustioni di terzo grado dopo che una bombola di gas è esplosa al quinto piano di un edificio, durante lavori di ristrutturazione. Le autorità russe hanno assicurato che in questa area dell’edificio non si trovano campioni di virus o altre sostanze in grado di porre rischi biologici e che non ci sarebbero danni strutturali. Dalla fine degli anni Settanta, per tutti gli anni Ottanta, sono state sviluppate presso il Centro di ricerca di Koltsovo armi biologiche e batteriologiche. Il sindaco della città, Nikolai Krasnikov, ha cercato di rassicurare la popolazione locale precisando inoltre che l’attività del laboratorio era stata sospesa per i lavori. L’incendio si è diffuso su una superficie di 30 metri quadrati prima di essere spento. Nel 2004 un ricercatore di Vector era morto dopo essersi punto per errore con un ago con il virus Ebola. Il rischio che batteri «addormentati» possano tornare sulla Terra mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie animali esiste oggi più che altro a causa dell’innalzamento delle temperature che stanno sciogliendo il permafrost (il terreno tipico delle zone più fredde del mondo, perennemente ghiacciato) . Nell’agosto del 2016 un dodicenne, che viveva nella penisola Jamal nella Russia nord-occidentale, morì a causa dell’antrace (o carbonchio). Contemporaneamente almeno venti persone ricorsero alle cure ospedaliere a causa dello stesso tipo di infezione. Questa improvvisa recrudescenza della pericolosa patologia venne spiegata con la teoria che un’ondata di calore verificatasi quell’estate aveva sciolto una porzione di permafrost al di sotto della quale si trovava da circa 75 anni la carcassa di una renna morta di antrace. I resti esposti dell’animale avrebbero contaminato dapprima il suolo e l’acqua e a seguire le risorse alimentari, giungendo a infettare circa 2.000 renne che pascolavano nei dintorni e in seguito l’uomo. E il timore è che non si tratti di un caso isolato e irripetibile.