In Italia 3 milioni di persone soffrono di depressione, di cui oltre 2 milioni sono donne. Una malattia spesso non trattata adeguatamente: un milione infatti ce l’ha in forma maggiore (grave), ma solo la metà viene trattata correttamente e tempestivamente. Lo hanno evidenziato, in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale del 10 ottobre, gli esperti riuniti a Milano per l’incontro "Depressione sfida del secolo, verso un piano nazionale per la gestione della malattia», organizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della donna (Onda) e Janssen. «I disturbi mentali - ha spiegato Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia - sono la principale causa di morte, disabilità e impatto economico al mondo, e sono molto più frequenti di quanto si possa pensare. Ecco perché dovrebbero essere considerati la principale sfida per la salute globale del XXI secolo». Il cosiddetto male di vivere è una malattia in aumento, come dimostrano i dati presentati. Tra il 2005 e 2015 il numero di casi è cresciuto del 20%, e oggi la depressione coinvolge nel mondo oltre 300 milioni di persone, tanto da essere diventata la prima causa di disabilità a livello globale (fino a 20 anni era al quarto posto). Una patologia che può avere risvolti molto gravi. Non è un caso se la Giornata Mondiale di quest’anno viene dedicata alla prevenzione del suicidio. La depressione maggiore infatti, se non trattata correttamente, è associata ad un’elevata mortalità, stimata intorno al 15%. Nei pazienti con disturbi dell’umore, uno su tre arriva a cercare di togliersi la vita almeno una volta nella vita. E a volte i farmaci neanche bastano. Basti pensare che del milione di pazienti con depressione grave, circa un terzo non risponde alle terapie tradizionali, pur somministrate in dosi e tempi adeguati. Ogni anno, a causa della depressione nella sua forma maggiore o grave, si perdono in media 42 giorni di lavoro, circa uno a settimana. E’ uno dei costi del conto salato di questa malattia, anche se alla salute mentale l’Italia dedica il 3,5% della spesa sanitaria totale, contro l’8-15% dei paesi del G7. Lo hanno detto gli esperti riuniti a Milano per l'incontro «Depressione sfida del secolo, verso un piano nazionale per la gestione della malattia», organizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della donna (Onda). In base ai dati di un’indagine condotta su più di 300 pazienti italiani con depressione maggiore resistente ai farmaci, si è visto che il costo medio sanitario è di 2.612 euro a paziente, mentre quello indiretto si stima sia di 7.140 euro. Il costo sociale della depressione, in termini di ore lavorative perse, ammonta a 4 miliardi di euro l’anno e la spesa di tasca propria è di 615 euro a paziente. «Oltre ai costi diretti - spiega Francesco Saverio Mennini, docente di Economia Sanitaria all’Università Tor Vergata di Roma -, anche quelli indiretti possono gravare in maniera importante». Basti pensare ai costi previdenziali per le assenze dal lavoro per depressione maggiore: tra il 2009 e 2015 sono stati di 650 milioni di euro per assegni di invalidità e pensioni di inabilità, con un incremento dei costi del 40%. A fronte di questi dati, aggiunge Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria, «tra i paesi del G7 siamo l'unico a non avere più ospedali psichiatrici. Abbiamo una meno operatori e una minore percentuale di spesa sanitaria per la salute mentale». In occasione dell’incontro, Onda ha presentato il suo primo Libro bianco sulla Salute mentale, che vuole essere una chiamata concreta a tutti gli attori coinvolti per avere anche in Italia un Piano Nazionale per la gestione della malattia. «La nostra call to action - dichiara Francesca Merzagora, presidente di Onda - è uno stimolo alle istituzioni per potenziare gli investimenti su tutto il territorio e avere nel nostro Paese un Piano Nazionale di lotta alla depressione».