Domenica 22 Dicembre 2024

Emofilia, una indagine per migliorare la comunicazione medico-paziente

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ROMA (ITALPRESS) - E' per molti aspetti simile la visione che il paziente emofilico e l'ematologo hanno sulla malattia che insieme combattono e sulla strategia terapeutica che insieme vanno ad adottare. Così come si osserva una buona disponibilità a potenziare la relazione medico-paziente per migliorare la gestione del percorso terapeutico e dei problemi che questo comporta anche al fine di sostenere l'aderenza alle cure. Tuttavia, non mancano gli elementi di disallineamento tra i medici e le persone in cura su cui si può lavorare per una comunicazione ancora più efficace in ematologia.
Sono queste alcune delle indicazioni che emergono dallo studio di medicina narrativa condotto dall'EngageMinds HUB - Centro di ricerca dell'Università Cattolica - nell'ambito del progetto Parole in emofilia: verso il patient engagement, condotto in collaborazione con AICE (Associazione italiana dei centri emofilia), Fondazione Paracelso, FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici) e con il supporto non condizionante di Kedrion.
«Ciò che abbiamo osservato - spiega la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia dei consumi e della salute e direttore del Centro di ricerca della Cattolica - è l'esistenza di un potenziale di disponibilità da parte dei pazienti a essere maggiormente coinvolti nel loro iter terapeutico: un fattore importante per il miglioramento del patient journey, anche se non sempre appieno valorizzato e realizzato. Inoltre, grazie alla variabilità presente nel campione dei pazienti per quanto concerne la gravità della patologia, si nota che un'ampia quota di persone affette in particolare da emofilia di tipo A, dichiari aspettative di un maggiore coinvolgimento nella relazione con il clinico per la gestione della patologia e della terapia. Sempre dallo studio, appare in ogni caso evidente - prosegue Graffigna - come la realizzazione di una buona aderenza terapeutica sia funzione del coinvolgimento attivo del paziente nel suo percorso di cura e di una comunicazione efficace tra medico e paziente».
Dai dati dello studio emerge come circa un quarto dei pazienti intervistati (21%) esprima grandi difficoltà emotive nella convivenza con la sua malattia e un basso coinvolgimento attivo. E a questo dato si allinea il fatto che tutti gli intervistati concordano nel ritenere che la malattia comprometta la loro qualità di vita (con un punteggio medio di impatto di 5 su un termometro che va da 1 a 7). Sofferenza, tuttavia, non pienamente rispecchiata nelle valutazioni che gli ematologi esprimono provando a mettersi nei panni dei loro pazienti: secondo gli ematologi, infatti, seppure vi sia accordo nel ritenere la malattia invalidante per il paziente, l'impatto percepito sulla qualità di vita è decisamente inferiore rispetto a quella del paziente (3.55 su un termometro che va da 1 a 7).
Dall'altra parte i pazienti raccontano di un grande attaccamento emotivo al loro farmaco, percepito come un salva vita, e in media si dichiarano molto poco propensi ad abbandonare le cure (valore medio di propensione di 1,45 su scala da 1 a 7). «Se in generale, alla luce delle analisi svolte - sottolinea la dottoressa Serena Barello, coordinatrice dello studio - sulle rappresentazioni di ematologi e pazienti possiamo notare un prevalente allineamento, osserviamo nel contempo alcune eccezioni che ci fanno riflettere». C'è, per esempio, del lavoro da compiere per avvicinare la visione dei clinici rispetto a quella dei pazienti sull'importanza attribuita da questi ultimi ai propri farmaci e alla propensione all'aderenza terapeutica. Talvolta gli ematologi possono dare meno peso all'attaccamento, alla consapevolezza e all'attenzione con cui i pazienti, mediamente, gestiscono l'assunzione dei farmaci».
Aggiunge la dottoressa Chiara Biasoli, membro di AICE: "dallo studio del Centro di ricerca della Cattolica emerge come i medici ritengano di fornire adeguata comprensione empatica ai loro pazienti; un dato che viene sostanzialmente confermato nelle testimonianze di questi ultimi. Allo stesso modo, clinici e pazienti mostrano una visione condivisa rispetto alle preoccupazioni e ai dubbi sulla malattia. E ancora, un tema che viene più volte rimarcato da entrambi i gruppi coinvolti nello studio ruota attorno alla parola "fiducia", quale fondamentale ingrediente per costruire e mantenere una relazione terapeutica soddisfacente ed efficace".
«E' un contributo al miglioramento dell'esperienza di engagement dei pazienti ciò che emerge dalla nostra ricerca - riferisce Andrea Buzzi, presidente della Fondazione Paracelso. Ma, oltre a ciò, i risultati del nostro lavoro sono e saranno utili anche a sensibilizzare i clinici circa il vissuto di malattia dei loro pazienti e a offrire spunti e strumenti concreti per migliorare le strategie di comunicazione medico-paziente».
«Da tempo sappiamo che per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici è essenziale il coinvolgimento attivo del paziente - osserva Manuela Scarpellini, Medical Affairs Director Italy, EMEA, Russia & CIS di Kedrion. Per questo, la nostra azienda è orgogliosa di sostenere EngageMinds Hub in questo innovativo progetto che permette all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano di raccogliere e di elaborare con strumenti scientifici il vissuto e il percepito di paziente e medico, allo scopo di facilitare il reciproco dialogo».
Secondo Cristina Cassone, Presidente di FedEmo «Questo progetto sta offrendo l'opportunità di indagare, attraverso la narrazione, gli aspetti più significativi e le eventuali problematiche di un rapporto tanto profondo e particolare come quello che si instaura tra un paziente emofilico e il proprio ematologo. Partendo da questa base, si può mirare a una migliore interazione tra le parti, al fine di rendere quanto più solida ed efficace possibile l'alleanza medico-paziente così rilevante in Emofilia».
(ITALPRESS).

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