Una banca dati universale del Dna al servizio della medicina forense: sarebbe più produttiva, meno discriminatoria e garantirebbe una maggiore privacy. A proporla sulla rivista Science è il gruppo della Vanderbilt University di Nashville, guidato da James Hazel. Negli Stati Uniti recentemente i database con i dati genetici disponibili al pubblico, che appartengono alle aziende private, hanno permesso di identificare dei presunti killer, collegando il Dna trovato sulla scena del crimine con le informazioni genetiche date volontariamente dai loro familiari. Al di fuori delle banche dati pubbliche, i dati genetici conservati in quelle private possono invece essere ottenuti dietro un mandato di comparizione. Secondo i ricercatori le richieste delle forze dell'ordine di dati privati sono destinate ad aumentare con la sempre maggiore diffusione di questi metodi di indagine. Anche se il Dna è un potente strumento per risolvere i crimini, c'è però la questione di quali corpi di polizia potrebbero avervi accesso e dell'assemblaggio di dati genetici pubblici e privati. Lo sviluppo di una banca dati forense universale potrebbe eliminare alcuni problemi, secondo gli studiosi, e permettere di superare alcuni pregiudizi collegati agli attuali database forensi, che sono costituiti in gran parte da campioni di persone arrestate o condannate generalmente giovani e di colore, a differenza di quelli privati che invece hanno il Dna di persone bianche. Si tratta di una proposta interessante, ma che suscita diverse perplessità, secondo il genetista Giuseppe Novelli: "Al momento ci sono pochi dati a supporto dell'idea che una banca dati universale possa aiutare a ridurre il crimine. Prima di dire che è efficace e ha dei benefici, bisognerebbe sperimentarla almeno in uno stato per alcuni anni e vederne l'impatto". Secondo Novelli sarebbe meglio usare banche dati del genere "per identificare i cadaveri senza nome o nei luoghi dei disastri di massa".
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