I batteri che vivono sulla Stazione Spaziale Internazionale (iss) non sono diventati degli alieni: hanno imparato a sopravvivere nello spazio senza acquisire caratteristiche pericolose per l'uomo. Lo indica la ricerca pubblicata sulla rivista mSystems dal gruppo dell'americana Northwestern University guidato da Erica Hartmann.
Lo studio ha confrontato il Dna dei batteri isolati sulla Stazione Spaziale con quello della loro controparte terrestre e ha scoperto che i batteri 'spaziali' avevano sviluppato geni diversi, che comunque non li hanno resi più dannosi per la salute umana. Non li hanno cioè trasformati in superbatteri e resistenti agli antibiotici. Secondo i ricercatori i batteri stanno semplicemente rispondendo, e forse si stanno evolvendo, per sopravvivere in un ambiente stressante. In pratica quei geni li hanno aiutati a mangiare e a crescere in un ambiente difficile.
La ricerca è nata con l'obiettivo di comprendere come si comportano i batteri in ambienti chiusi, anche in vista delle future missioni umane su Marte. "Gli astronauti viaggerano in piccole capsule dove non potranno aprire finestre, uscire o far circolare l'aria per lunghi periodi di tempo", ha rilevato Hartmann. "Siamo sinceramente preoccupati - ha proseguito - di come questo possa influenzare i microrganismi".
Poiché la Stazione Spaziale ospita migliaia di microrganismi diversi, trasportati sia dagli astronauti sia dai rifornimenti, è il laboratorio ideale per condurre ricerche tese a scoprirlo. I ricercatori hanno utilizzato la banca dati allestita nel Centro nazionale americano per le informazioni sulle biotecnologie (Ncbi), che contiene molti batteri isolati sulla Stazione Spaziale. Quindi hanno confrontato il Dna di due batteri, lo Staphylococcus aureus che vive sulla pelle umana e che ha un ceppo resistente agli antibiotici, e il Bacillus cereus, che vive nel suolo e ha meno implicazioni per la salute umana.
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