Potrebbero essere le montagne più alte del pianeta, quelle scoperte a 660 chilometri di profondità sotto la superficie terrestre nella zona di confine che separa in mantello terrestre superiore da quello inferiore. Il loro profilo da record è stato esaminato con un dettaglio senza precedenti analizzando l'eco delle onde di un violento terremoto di magnitudo 8.2 avvenuto nel 1994 in Bolivia.
Lo studio, che aiuterà a comprendere meglio la struttura e le dinamiche interne della Terra, è pubblicato sulla rivista Science dall'Università di Princeton in collaborazione con l'Istituto di geodesia e geofisica in Cina. I ricercatori sono rimasti letteralmente a bocca aperta osservando le asperità che caratterizzano questa linea di confine, che finora era stata studiata solo su larga scala: il suo profilo, visto nel dettaglio, sembra essere ancora più irregolare di quello della crosta terrestre su cui camminiamo.
"In altre parole, nel confine posto a 660 chilometri di profondità, la topografia è più aspra di quella delle Montagne Rocciose o degli Appalachi", spiega il primo autore dello studio, Wenbo Wu. Il modello statistico usato dai ricercatori non consente di determinare in maniera precisa l'altezza di questi monti sotterranei, ma è probabile che sia maggiore rispetto a quella di tutti i monti presenti sulla superficie terrestre.
La distribuzione di queste catene sotterranee, però, non è uniforme: i rilievi si alternano infatti a pianure, proprio come i monti della superficie si alternano ai fondali oceanici. Questa particolare conformazione potrebbe spiegare che tipo di relazione intercorre fra il mantello superiore e quello inferiore, che insieme formano l'84% del volume del pianeta: il confine sarebbe pianeggiante dove si ha un maggiore rimescolamento verticale tra i due strati del mantello, mentre le zone montuose si formerebbero dove il mix non avviene altrettanto efficacemente.
Doglioni (Ingv), una linea di confine interessante da esplorare
"Si tratta di uno studio interessante, che contribuisce a fare luce sulle dinamiche interne della Terra", commenta Carlo Doglioni, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). "Sapevamo già che la linea di confine tra mantello superiore e inferiore fosse irregolare, ma non così tanto: a dircelo ora sono le sempre più sofisticate tecniche di tomografia sismica, che valutano la propagazione delle onde generate da un terremoto. In questa ricerca sono state usate le cosiddette onde di pressione (onde P): sono onde elastiche che, quando arrivano a un'interfaccia dove c'è un cambio di velocità, vengono riflesse verso la superficie. Valutando i diversi tempi con cui arrivano nelle varie zone della Terra, è possibile capire la forma dell'interfaccia che sta sotto".
Studiare questa linea di confine permetterà di capire meglio le relazioni che intercorrono tra i due strati del mantello e la crosta terrestre sovrastante. "Sappiamo che il mantello superiore è fatto di materiale più leggero e meno viscoso rispetto al mantello inferiore, e presenta un rimescolamento interno maggiore", osserva Doglioni. "Alla linea di confine, la viscosità aumenta di 30 volte e le strutture minerali passano a una fase più densa".
Capire quanto questo limite sia penetrabile al rimescolamento permetterà di svelare il destino di quei blocchi del 'guscio' terrestre che per il movimento delle placche si immergono nel mantello in corrispondenza delle zone di subduzione. "Sapere se rimangono confinati nel mantello superiore o se scendono nel mantello inferiore è importante per conoscere le dinamiche interne del Pianeta", sottolinea Doglioni. "Ci permette di capire se i materiali che ritornano in superficie provengono solo dal mantello superiore o anche da quello inferiore".
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